EX EYE, Ex Eye
Le meditazioni circolari e pericolosamente indulgenti al new age di uno Jan Garbarek (molto) più arrabbiato al sassofono, un’enfasi e un afflato sinfonico che lasciano a dire il vero un po’ interdetti, la chitarra a ripercorrere sentieri già ampiamente battuti e la batteria a organizzare le truppe per una battaglia contro fantasmi che non affascinano più di tanto. Questa è “Form Constant; The Grid”, quarta e ultima traccia del disco d’esordio degli Ex Eye, la nuova band messa in piedi da Colin Stetson, sassofonista prodigio che si è imposto coi suoi dischi e i suoi live da solista: un ibrido strano, indeciso tra inni e drone al cielo, ruggine anni Novanta e inaspettate e pericolose derive da stadio (io, in certe linee di chitarra galoppanti e retoriche, ci ho sentito anche qualcosa degli Iron Maiden), capace in alcuni frangenti di regalare un suono senza dubbio suggestivo, ma che con tutta franchezza non regge al secondo ascolto.
“Xenolith; The Anvil”, in apertura, attacca potente e in 6/8 con le rullate di Greg Fox dei Liturgy, per poi assestarsi su di un mid tempo che sorregge armonie un po’ scontate. Pare, in qualche modo, di ascoltare una versione iperglicemica e pop dei Meshuggah, con ostinati non portano da nessuna parte, ferma restando la bravura dei musicisti coinvolti (al synth troviamo Shahzad Ismaily, che suona tutto e ha collaborato semplicemente con chiunque, da Laurie Anderson a Lou Reed, da Tom Waits a Bonnie Prince Billy, da John Zorn a Nels Cline, inoltre è parte dei Secret Chiefs 3 e dei Ceramic Dog, con Marc Ribot e Ches Smith). “Opposition/Perihelion; The Coil”, la seconda traccia (il quartetto percorre sempre distanze lunghe, dando però l’impressione di usare molto mestiere e di annacquare il brodo senza avere cose particolarmente urgenti o significative da dire), parte furiosa per poi virare verso lidi Tool. Col terzo pezzo, “Anaitis Hymnal; The Arkose Disc”, la solfa non cambia: batteria che pesta sullo sfondo creando baraonda e frastuono, larghe campiture di chitarra epica (Toby Summerfield, al lavoro anche con i Larval, che escono su Cuneiform), synth perso nel marasma, finché poi l’apocalisse, senza mai essere stata perturbante o credibile, non si placa e parte un 4/4 seduto su cui Stetson ricama svolazzi e arabeschi col baritono effettato.
Come nel caso di altri supergruppi (il primo che mi viene in mente sono gli Oysterhead, un trio potenzialmente miracoloso con Stewart Copeland dei Police, Trey Anastasio dei Phish e sua maestà Les Claypool) il risultato finale non equivale alla somma dei fattori. Capita. Disco prescindibilissimo.