EUROPEAN GALACTIC ORCHESTRA, 15/6/2021
Mantova, Palazzo Te.
Tre giorni di residenza artistica a Mantova per il collettivo assemblato da Gabriele Mitelli grazie alla lungimiranza dell’associazione 4′ 33”, con concerti dei dodici musicisti articolati in diversi assetti per poi confluire nella seconda giornata nell’ensemble a pieno organico, che si caratterizza senz’altro per la presenza di ben sette fiati: Per-Åke Holmlander alla tuba, già con Fire! Orchestra e la Large Unit di Paal Nilssen-Love, i francesi Cristophe Rocher ai clarinetti e Pierre Borel al sax alto, il leader a cornetta, composizioni ed arrangiamenti, ruolo condiviso con il clarinettista Giancarlo Nino Locatelli, Tobias Delius dell’olandese ICP al tenore e Sebi Tramontana al trombone. Il concerto viene aperto da cellule improvvisative interne al gruppo, come Cristiano Calcagnile alla batteria con Christelle Sery alla chitarra: sei corde in modalità table top, ciotttoli percussivi, un clima guardingo e teso, si maneggiano pause e silenzio con la dovuta cautela, per un prologo riduzionista che ha un sussulto quando Sery suona un filo dentro la chitarra, da qualche parte tra Frith e l’abisso, con Calcagnile che suona con l’archetto confermando il suo approccio narrativo allo strumento già sperimentato nell’ottimo solo per We Insist! Records. Poi al duo si aggiunge il pianista Alberto Braida ed appare Monk riflesso in una pozzanghera; batteria e chitarra rapidamente si tacciono, si aggiunge anche Locatelli col timbro nitido del clarinetto in un dialogo pensoso e limpido col pianoforte, rientrano Sery e Calcagnile, poi il fuoco si spegne come si era acceso, in un attimo. L’orchestra, dopo una breve pausa, attacca con “Love In Outer Space”, un immortale tema di Sun Ra: il sorriso di John Edwards, il contrabbassista racconta dell’approccio a un certo modo di vivere e dire il jazz, libero, anarchico, panico. Tra languori ellingtoniani, orme di jazz sudafricano, travolgenti frangenti corali, fanfare circensi come una banda di paese atterrata su Marte la EGO carbura che è un piacere e la sezione ritmica inietta sangue swing nel motore. Arrangiamenti ariosi, scrittura che si muove tra Africa (una delicata ossessione ritmica portata dal violoncello come fosse un likembe), fire music e stelle che esplodono (le voci selvatiche di Delius e dei suoi colleghi fanno affiorare sapori di certe pagine degli organici di Mazurek). Le composizioni sono equamente divise tra Mitelli e Locatelli, ci sono temi esposti e capaci di stamparsi subito in testa per immediatezza e groove e poi rivoltati come un calzino e visti da ogni punto cardinale possibile, ma anche una quasi ballad per tre clarinetti e violoncello o fanfare che staccano inni al cielo; Edwards e Tilli dialogano con gli archetti in un discorso tutto strappi e rimbrotti, introduzione ad una pulsazione che non lascia scampo. “Mi ha sempre ispirato molto l’ascolto delle orchestre e degli ensemble allargati, sia da un punto di vista musicale che di comunità, di movimento artistico e politico”, ha raccontato Mitelli parlando di questo progetto, che riunisce musicisti di diverse generazioni e da cinque paesi (Italia, Francia, Olanda, Svezia, Inghilterra). Mentre un tema dal respiro largo allaga le orecchie un insetto ai miei piedi non riesce a raddrizzarsi: caparbio, insiste, e quando emerge il pianoforte sparso di Braida, come una pace a lungo attesa, finalmente ce la fa e riprende il volo. Una metafora istantanea di questi tempi complicati, un regalo del caso o solo la serendipità, chissà. Del resto, come diceva John Philip Sousa, “il jazz durerà fintanto che le persone lo ascolteranno attraverso i loro piedi invece che col loro cervello.” Lunga vita alla European Galactic Orchestra!