Esoteros: Say Goodbye To The Wind di Valerio Tricoli
Curioso pensare che all’alba della registrazione audio il nastro magnetico fosse tra i pochi sinonimi tecnologici di “memoria” e perpetuazione, mentre oggi, a fronte della transizione digitale, appare come materia del tutto obsoleta, fragile e a rischio di estinzione. Un concept reso quantomai pregnante dal ventennale capolavoro di William Basinski, ma che di lì in poi ha visto gradualmente risorgere, come la fenice dalle ceneri, il supporto analogico in quanto strumento di sperimentazione formale e, per certi versi, cifra poetica. In questo solco – tanto malagevole quanto ricco di potenziale inespresso – il sound artist palermitano Valerio Tricoli si è da subito distinto per il suo integralismo e per la coerenza del suo immaginario sinistramente evocativo.
Pubblicati sotto l’egida dell’influente etichetta berlinese PAN, i precedenti lavori solisti dimostravano l’assoluta padronanza di Tricoli nel generare interi mondi di natura elettroacustica, dapprima scuramente atmosferici, presaghi di orrori celati alla coscienza (Miseri Lares, 2014), poi convulsi, saturanti e votati all’autocombustione (Clonic Earth, 2016). Ma il passaggio alla Shelter Press di Félicia Atkinson è già di per sé indice di un’opera che si rivelerà ancor più ermetica e subliminale del consueto, strenuamente ripiegata su e alimentata dalle proprie morbose dinamiche ricorsive.
Volendo parafrasare David Foster Wallace, ‘ogni storia su nastro Revox è una storia di fantasmi’, un sogno senza sonno lungo il quale affiorano costantemente presenze estranee in “armonioso conflitto” tra loro: che si tratti di incontri serendipici o di fonti ricercate con determinazione, all’autore la scelta su quali di esse evocare e in che forma drammatizzarne la forzosa coesistenza.
Come sempre, in Say Goodbye to the Wind l’impronta stilistica di Tricoli ci riporta all’ideale primevo di “acusmatica”, cioè all’occultazione della scaturigine sonora in favore di un ascolto che non risulti condizionato da ulteriori percezioni sensoriali. Ma per certi versi dà un anche un nuovo, ulteriore significato al termine musique concrète: non più tale in virtù dei simulacri del reale che accoglie tra i suoi solchi – per poi trasfigurarli irreversibilmente –, bensì della tangibilità materica del supporto che, di fatto sempre presente, si manifesta come parte integrante e inscindibile del tessuto sonoro.
Oltre le componenti oggettive regna il dilemma della soggettività, radicato nel paradosso che lega dimensione immanente e transeunte: quale collocazione stabilire per – e dunque a quale destino consegnare – la fonte impermanente? Nonostante i loop e i rovesciamenti artificiali, nel flusso del tempo (riverrun) non si dà alcun ritorno, tutto trascorre senza offrire risposte né porre vere domande. Ecco allora il lamento di χρόνος, il requiem perpetuo che queste tracce non possono mancare di intonare nel viaggio che le conduce alla dissoluzione. Soltanto in extremis, a un minuto dal silenzio, il canto di una musa pietosa dirada le brume echeggianti illudendoci, almeno per qualche istante, che il vento della Storia si plachi.
Circa sei anni di gestazione, tra il 2016 e il 2021, per portare a compimento il suo esito artistico più lucido e controllato: attraverso una pratica in perfetto equilibrio tra cesello e istintività, Valerio Tricoli rimarca come “solo col tempo si conquista il tempo” (T. S. Eliot), e come attraverso l’arte il passato possa sfidare l’impermanenza per rivivere in forma di ricordo collettivo.
Questo post andrà on line domani su Esoteros di Michele Palozzo.
Critico e curatore musicale indipendente, scrive recensioni e articoli dal 2009. Ha collaborato a lungo con la webzine Ondarock, per la quale ha inoltre coordinato la sezione ‘altrisuoni’. È co-fondatore e direttore artistico del progetto culturale Plunge, dedicato alla promozione delle più interessanti espressioni della musica elettronica e di ricerca contemporanea, attivo principalmente a Milano.