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Esoteros: No. 5 di Christina Vantzou

Diverse esponenti della nuova sound art elettronica sembrano intrattenere un rapporto privilegiato e fruttuoso con la dimensione onirica, ciascuna al livello che meglio si conforma alla sua sensibilità artistica: vi sono infatti più gradazioni che dalle fitte nebbie del sonno profondo (Klara Lewis, Félicia Atkinson) conducono alle figure sfuggenti e solo vagamente familiari di quello lucido (Anne Guthrie, claire rousay).
Nella sua produzione in studio Christina Vantzou sembra aver solcato alternatamente entrambe le sponde, con una cesura piuttosto netta a separare gli ultimi due album “numerici” (No. 3 e No. 4) dalla più decisa incursione nel field recording di Multi Natural (2020). È ora con una sintesi stilistica inedita, assieme a un’ulteriore maturità espressiva, che la compositrice statunitense si riallaccia al corpus originario, assorbendo gli spunti concettuali – ma soprattutto emozionali – suggeriti dai limpidi orizzonti delle isole egee.

Diviso in misura pressoché paritaria tra atmosfere artificiali e fonti acustiche campionate, il flusso para-narrativo di No. 5 sembra attingere allo stato cosciente per poi riformularne le impressioni in una concatenazione di ricordi frammentaria, in certo modo provvisoria e non-finita, eppure capace di trattenere fra le sue maglie il sentimento essenziale che ciascun elemento discreto racchiude.

Ad oggi è forse la forma più obliqua ed eterogenea assunta dall’ambient melanconica di Vantzou, inafferrabile non soltanto in virtù delle sonorità accostate ma anche della breve durata entro cui quasi tutte le sequenze sono costrette a condensare la loro suggestione immaginifica: se già i paesaggi interiori tratteggiati in passato non offrivano sicuri appigli all’ascolto, ora non vi è quasi mai nemmeno il tempo per razionalizzare le effimere, ancorché vivide scie di synth modulari, arpa, theremin, archi e fiati, acquose pennellate di colore che la risonanza prospettica del quadro porta a sbiadirsi e svanire.

Pur indulgendo volentieri nel languore di certi interludi pianistici, nonché pervasa da ricorrenti canti di sirene a rimarcare gli influssi di una perpetua mitologia greca, l’opera “quinta” di Christina Vantzou illude e seduce con l’effetto spaesante dei suoi contrasti: schegge di ricordi sepolti e concilianti visioni dall’oblio sono liberamente associate come da un deus ex machina benevolo, custode di segreti inconoscibili che tuttavia si offrono alla percezione latente in tutto il loro disadorno splendore. È tra questi solchi che si cela l’animo fragile e sommamente nostalgico della sound art postmoderna.

Questo post andrà on line domani su Esoteros di Michele Palozzo.

Critico e curatore musicale indipendente, scrive recensioni e articoli dal 2009. Ha collaborato a lungo con la webzine Ondarock, per la quale ha inoltre coordinato la sezione ‘altrisuoni’. È co-fondatore e direttore artistico del progetto culturale Plunge, dedicato alla promozione delle più interessanti espressioni della musica elettronica e di ricerca contemporanea, attivo principalmente a Milano.