ESECUTORI DI METALLO SU CARTA, Call For Scores

L’idea della “Call”, chiamata, adunata, richiamo ma anche invito, opportunità, bando, è un contenitore trasversale applicabile ed applicato ad innumerevoli ambiti artistici e non solo. Si basa su una relazione biunivoca: io propongo, tu partecipi. Io plasmo un’idea, porto le mie pedine, stabilisco regole più o meno stringenti ma ho bisogno dell’alterità di un “tu”, di un “voi”, per poter giocare. Il paragone ludico è ancora più calzante se pensiamo che “play” può essere tradotto agilmente con il verbo “suonare” o, “più in generale” con il sostantivo “opera”. Nel nostro caso, i 50 minuti scarsi di Call For Scores sono frutto di uno scambio fra 14 compositori di differente – a volte diametralmente opposta – formazione e l’ensemble cameristico (ma sui generis) degli Esecutori Di Metallo Su Carta, fondato, fra gli altri, da Enrico Gabrielli, personalità poliedrica che non ha certo bisogno di presentazioni.

Oltre alla qualità elevata dell’album e alle infinite possibili digressioni su forma e contenuto, c’è un aspetto che forse più di tutti merita una riflessione. Parliamo di qualcosa di meta-musicale che emerge, in maniera spontanea ed evidente, da interviste, comunicati stampa e apparizioni radiofoniche riguardanti il disco: l’intento pedagogico, didattico. E non parliamo solo di questa uscita discografica nello specifico, ma di una vena filosofica che sorregge l’attività dell’etichetta 19’40”, creatura condivisa da Gabrielli, Francesco Fusaro e Sebastiano de Gennaro e che si fa carico della pubblicazione di Call For Scores. La musica contemporanea è un oggetto sonoro molto strano, è indubbio. A seconda dell’interlocutore, del compositore, dell’esecutore, cambia volto e può trasformarsi da rigoroso formalismo a malleabile magma improvvisato. E a queste strane caratteristiche camaleontiche segue un più o meno marcata “impenetrabilità”. Una cosa da iniziati, insomma.

C’è la diffusa convinzione che senza una solida base teorico-musicale una larga fetta di musica composta, per restringere il campo, nell’ultimo secolo, non valga nemmeno la pena di essere approcciata, se non per condannarsi a frustranti suoni destrutturati e incomprensibili. Senza negare questa visione, condivisa legittimamente da Gabrielli che di ambiente accademico ne sa qualcosa, è anche vero che molto dipende dall’esperienza personale dell’ascoltatore e soprattutto dal contesto in cui si svolge l’ascolto, dalle condizioni che, fattivamente, lo permettono. Molti profani, rapportandosi con gli appartenenti al mondo musicale contemporaneo, possono esperire in egual misura sia un senso di velata inferiorità, sia un sentimento di mutua condivisione fra pari.

Provenendo da un ambiente puramente scolastico ma avendo poi, nel corso di una lunga e poliedrica carriera, toccato con mano i molti aspetti dalla cultura pop e sotterranea, italica e non, è legittimo che Gabrielli e gli Esecutori Di Metallo Su Carta vogliano intraprendere una strada ibrida, fra rigore contemporaneo e libertà underground. Anche perché, come percepisce quasi spontaneamente chi naviga le acque occulte della musica italiana (citiamo gli Zu, ad esempio) e come sottolinea lo stesso Gabrielli in diverse interviste, in primis questa, il processo compositivo di artisti come Massimo Pupillo (Zu) o Luca Cavina degli Zeus o ancora Stefano Pilia è un ottimo esempio di evoluzione convergente rispetto alle dinamiche della musica del Secondo Dopoguerra, senza che, sulla carta, questi artisti abbiano un retroterra accademico. Il che, riflettendoci, è emblematico, perché rappresenta, se l’intento dovesse essere questo, la prova definitiva che la forzata separazione elitaria di una parte della musica nella sua inaccessibile torre d’avorio ha ben poche basi giustificative. Ben vengano quindi le velleità didattiche di opere come Call For Scores e di etichette come 19’40”, dirette ad “ascoltatori ingenui” o – per precisare con le parole dello stesso Gabrielli – “persone capaci di farsi sorprendere, senza tabù, prive di autolimitazioni”. Una descrizione utopica ma, proprio per questo, entusiasmante.

Ricercare la sorpresa è una pratica che va però coltivata, un percorso di scoperta costante. E in questo voto al cambiamento che si inscrive alla perfezione la “call”, chiamata che l’ensemble sparge nell’immensità della rete e a cui rispondono “centinaia” di compositori provenienti dalle più variegate esperienze musicali, sia, per tornare al discorso centrale, accademiche che non. Il risultato è valido perché, oltre a rendere la versatilità degli esecutori, è leggero all’ascolto essendo volutamente strutturato come un disco pop, con brani della durata massima di circa 4 minuti. Il formato del disco magnifica inoltre le cesure stilistiche fra i diversi artisti, esaltando e definendo i contorni, catturando l’ascoltatore sia per il contenuto musicale della singola composizione, sia per il rapporto, ad elevatissimo contrasto, con le altre. Sorpresa è anche, finalmente, contenuto: Call For Scores è un rappresentativo spaccato della musica contemporanea, in cui possiamo trovare di tutto, dalla semplice progressione melodica ai tappeti di synth, dall’estrema estensione dello strumento alle architetture destrutturate della non-forma canzone, in un’opera realmente aperta e accessibile a tutte e a tutti, senza formalismi e senza che, fortunatamente, traspaia la gerarchia pedagogica, lo scivoloso gradino che separa l’allievo dal maestro.

Un disco consigliato, quindi, sia come porta verso la contemporaneità musicale e le sue strane “regole”, sia come approccio alle attività di intersezione fra musica e meta-musica di 19’40”.