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ERRORSMITH, Superlative Fatigue

Agitatore del sottobosco electro/techno berlinese da quasi tre decenni, Erik Wiegand ha colmato i tredici anni che son passati dal suo esordio discografico con periodi da resident al Berghain, con la pubblicazione di una manciata di 12” (in coppia con dj Fiedel a nome MMM) e progettando synth digitali come Razor, il plug-in di “additive synthesis” sviluppato per Native Instruments (rimando al sito per i dettagli da smanettoni) con cui ha composto la stragrande maggioranza di quanto sentiamo in questo Superlative Fatigue, uscito alla fine del 2017 per la PAN. Disco che è ben lontano dal sembrare un test delle potenzialità della propria creatura e che appare invece come una sorta di generale stilizzazione in chiave minimalista di materiali da dancefloor. Wiegand utilizza pochissimi elementi, spesso poco più di un beat sincopato e un paio di linee di synth acidissimi, il che nella maggior parte dei casi sembra un tentativo dapprima di cogliere, poi di emulare e infine di riarrangiare autonomamente le caratteristiche che si reputano base di un dato stilema da “club” (in senso lato). Banalizzando un attimo, è come se un robot alle prime armi si fosse messo in testa di capire e riprodurre in maniera schematica tracce electro a base di ritmiche pseudocaraibiche, asciugandole fino all’osso per prove e tentativi, e divertendosi un mondo nel farlo. Quel che ne esce è un qualcosa di contemporaneamente sbilenco e preciso, un lavoro in cui progressioni improbabili di synth si associano a botte da dancehall meccanica e su cui domina una energica giocosità che rende Superlative Fatigue non solo un’interessante, e riuscito, tentativo di ridefinizione delle originarie spinte propulsive di certa musica elettronica odierna, ma un ascolto inaspettatamente divertente.