ENVY, The Fallen Crimson
La cultura giapponese esercita un fascino irresistibile, tuttavia, nelle sue varie espressioni, ha sempre suscitato in me la sensazione di trovarmi di fronte a qualcosa di ambiguo: solo di recente ho capito che dietro alla peculiarità dell’arte e alla complessità dei rituali si celano il fragile equilibrio e le contraddizioni di un Paese in cui coesistono faticosamente tradizione e modernità, moltitudini umane e isolamento sociale, e che dietro a rigide formalità si nasconde un certo disagio. Sono tutti profondi contrasti sui quali gli Envy hanno plasmato il loro sound. Gli aspetti in apparenza inconciliabili di questa società, in altre parole, sembrano rispecchiarsi nella musica di Tetsuya Fukagawa e compagni, basata sul violento attrito tra fiammate punk e intense progressioni post-rock. In The Fallen Crimson, album che arriva quasi in sordina dopo un paio di precedenti non eccezionali e alcuni stravolgimenti a livello di line-up, avverto però qualcosa di diverso: coraggio, speranza e un’armonia nuova.
Il coraggio è quello di ripresentarsi con brani clamorosamente hardcore come “Statement Of Freedom” e “Fingerprint Mark”, sfuriate degne dei vecchi tempi che coniugano la solita energia e una rinnovata vena creativa, accostandoli a perle di dolcezza come “Rhythm” e “Hikari”, nelle quali i raffinati intrecci delle chitarre arpeggiate e gli esperimenti lirici ci guidano lungo sentieri inesplorati, confermando che ciò che stiamo ascoltando non è solo un nostalgico viaggio nel passato.
È la speranza il motore che muove l’alternarsi di epici crescendo e intermezzi rarefatti di “Dawn And Gaze”, e che traspare nel maestoso incedere della conclusiva “A Step In The Morning Glow”, due pezzi che sembrano voler proiettare la mente dell’ascoltatore verso futuri utopici e lontano dalle preoccupazioni quotidiane. Insomma, il contrasto tra furia screamo e dilatazioni atmosferiche è sempre presente, ma in The Fallen Crimson queste due anime sembrano danzare in modo armonico, più che duellare come in passato.
Quest’album, che trova la massima espressione nella stupenda “A Faint New World”, ci offre un riuscitissimo amalgama di tutto ciò che ha caratterizzato gli Envy in ventotto anni di onorata carriera, con l’aggiunta di richiami a sonorità che caratterizzano band più “giovani” come Alcest, Svalbard e Deafheaven, alcune delle quali hanno probabilmente esordito ispirandosi proprio ai nipponici. Lascio ai fan più accaniti azzardare confronti con Insomniac Doze o A Dead Sinking Story: io mi limito ad osservare come questo gruppo sia riuscito ad andare oltre la comfort zone e a trovare quell’equilibrio tra tradizione e modernità di cui il mondo intero avrebbe bisogno per poter sperare in un futuro migliore.