ENSEMBLE ORCHESTRAL CONTEMPORAIN & DANIEL KAWKA, Le Marteau Sans Maître / B-Partita
Tracce d’angelo generate dagli incubi della ragione
Pierre Boulez (1925-2016), indomito innovatore per “necessità biologica”, come ebbe a dire lui stesso (cfr. Pierre Boulez, Jean-Pierre Changeux, Philippe Manoury, I neuroni magici. Musica e cervello, Carocci Editore, 2016, p. 51) partorisce il “Marteau Sans Maître” (1955) al culmine di un processo relazionale, intimo e duraturo, con la poesia di René Char (1907-1988): in tal senso, il “Marteau” deve essere pensato (e ascoltato) come terzo incontro con il surrealismo del poeta francese, essendo successivo alle due precedenti composizioni su testi chariani, “Le Visage Nuptial” (1947) e a “Le Soleil Des Eaux” (1948-1950).
Con il “Marteau” si osservi, innanzitutto, come l’ultramodernismo bouleziano si cimenti con un surrealismo ancora tradizionale, in qualche modo storicamente e stilisticamente “ortodosso”, come dire che l’estremismo della musica non intende optare su un altro paritetico estremismo, quello del testo poetico, preferendo, al contrario, assicurarsi un ampio margine di decodificabilità con la scelta di uno Char datato 1934.
Musica calcolata e iper-razioide, quella del “Marteau”, ma che tuttavia risulta, “all’orecchio interno”, totalmente libera, irregolare, segmentata, polverizzata: su questo paradosso si insedia tutta la scrittura “matura” di Boulez, che mette ampiamente fuori gioco il serialismo classico, a favore di un nuovo ed innovativo serialismo percettivo, dove la verticalità viene “sporcata” con combinazioni altamente modulabili e dove inattesi inserti percussivi hanno la palese funzione di andare contro l’astrazione, di disturbarne il flusso, o di infrangere la superficie delle altezze sonore. Boulez, che ha perseguito l’intenzione di dare voce alla violenza condensata e alla frammentarietà semantica di René Char, costruisce nove momenti musicali che inseguono l’irregolarità nella coesione: l’ascoltatore percepirà totalità parziali, in lotta per configurare una totalità finale e definitiva che, à l’impreviste, non giungerà affatto.
La voce femminile (un mezzo soprano in Sprechgesang stile “Pierrot Lunaire” di Schönberg), ha un ruolo scientemente marginale (talvolta funge da integrazione secondaria degli strumenti), mentre il flauto regna sovrano, tra virtuosismi e sequenze, come de-corporeizzazione di ogni vocalità ideale. Portatori di un linguaggio tambureggiato, le percussioni, i woodblocks, la xilorimba e il vibrafono marcano i silenzi e depistano l’orizzontalità dei valori e delle altezze, de-occidentalizzando la scrittura; la chitarra e la viola a tratti si scambiano nella funzione ma non nelle strutture.
La varietà di serie ritmiche / ordinamenti timbrici / disordini di altezze sonore suscita una vertigine continua, e produce la strana illusione che vi siano comunque e sempre delle occasioni di ordine presenti, ma “non viste”. Il virgolettato è d’obbligo, poiché, non lo si dimentichi, Boulez strappa via la componente visiva ai tre brevi testi espunti dal “Marteau” di Char, per dotarlo invece di una componente prossimale e quasi tattile. Dunque non sfugga il fatto che la tendenza al disordine sia altamente informativa: il disordine percettivo suggerisce l’ordine molecolare, mentre l’ordine funzionale consente l’elemento a sorpresa. In termini fisici, c’è una dispersione casuale di ordini limitati (Feibleman); in termini cognitivi: una indipendenza di singoli elementi che per brevi tratti si correlano (Köhler). Pierre Boulez direbbe che “l’esplosione è l’idea che cristallizza l’imprevisto” (in: Pierre Boulez, Pensare la musica oggi, Einaudi 1979). Aggiungerei, vox mea, che in questo Boulez si incontrano tracce d’angelo generate dagli incubi della ragione.
La direzione di Daniel Kawka tiene conto di questa disarmonia prestabilita senza togliere naturalezza all’accadere sonoro. La vocalità di Salomé Haller non è soltanto impeccabile ma miracolosa nel rendere l’irrealtà spettrale. Altra menzione speciale, poi, va al flautista, Fabrice Jünger, per l’eccezionale controllo sonoro degli svariati registri.
Il disco si chiude con la composizione “B-Partita / In Memoriam Pierre Boulez” (2016) di Philippe Manoury, amico e collaboratore di Boulez presso il centro IRCAM-Centre Pompidou. In un unico movimento, rimaniamo rapiti in uno stato di veglia coatta dalle arcate laceranti e dal puntinismo del pizzicato di un violino ad alto tasso performativo (strepitosa la prova di Gaël Rassaert), mentre attraversiamo inquiete oasi di silenzio, in una continua combinazione di tempi lisci e tempi striati (per usare due espressioni care a Boulez). È un pezzo estremamente complesso sul piano della narratività sinfonica, ma che non perde mai di efficacia per via dei continui sbalzi d’umore. Gli interventi di elettronica, affidati in tempo reale a Serge Lemouton, sollecitano ogni possibile ambiguità tonale. Questa Partita (la terza composta da Manoury) che si ispira all’idea di composizione ciclica ad un solo movimento (iniziata da Liszt e poi sviluppata da Scriabin e Berg) segue tendenzialmente il modello delle Sequenze di Berio, pur non condividendone l’estetica sonora: ne risulta un pezzo di ambientazione sonora costantemente abitato da colpi di scena, fino al sussurrato finale.
Consigliare questo disco è il requisito minimo per chi abbia orecchie e cervello sufficientemente sintonizzati tra loro.
Tracklist
01. Avant l’Artisanat Furieux
02. Commentaire I De Bourreaux De Solitude
03. L’Artisanat Furieux
04. Commentaire II De Bourreaux De Solitude
05. Bel Édifice Et Les Pressentiments Version Première
06. Bourreaux De Solitude
07. Après l’Artisanat Furieux
08. Commentaire III De Bourreaux De Solitude
09. Bel Édifice Et Les Pressentiments Double
10. B-Partita (In Memoriam Pierre Boulez)