ENDON, Fall Of Spring

Tokyo. Da più di quindici anni, Endon è un’entità che prova a scardinare le regole della musica meno convenzionale. Attualmente un terzetto composto da Koki Miyabe, Taichi Nagura e Taro Aiko, torna con un nuovo album sei anni dopo Boy Meets Girl.

“Prelude For The Hollow” mette in pratica ciò che il titolo suggerisce, con canti e percussioni tradizionali che vengono via via inglobati e masticati da una massa sonora lenta e potente, dove a farla da padrone non è lo sgomento o il fastidio, ma una sorta di ineluttabilità che tutto inghiotte. Alzando il volume, dà l’impressione di una nube grigia che tutto avvolge, nella sua atmosfera statica.

La successiva “Hit Me” azzanna fin da subito: scariche elettriche ed elettroniche accompagnano le urla di Taichi Nagura allo spasimo, quasi il concatenarsi di causa ed effetto in un circolo di dolore e tortura. L’occhiata del mio amore mentre il suono fuoriesce dalle cuffie testimonia bontà e ferocia dell’azione, in qualche modo terapeutica e memore delle ondate di japanoise precedenti gli Endon (nel mio cuore porto l’esibizione più breve della mia esperienza con Masonna a Losanna). La sensazione è quella di un’oscura energia portata all’estremo, ma senza che diventi sterile, perché in qualche modo ancora umana.

A tratti gli Endon sembrano voler costruire un’atmosfera, che però, come in “Times Does Not Heal”, viene prontamente spezzata da synth sfrigolanti e batterie, tra i primi Fantômas di Amenaza El Mundo o scorie elettroniche varie. Dietro tutto ciò ci sono tre persone che si sbattono e sudano, delle quali percepiamo l’energia nel far salire il gain il più possibile.

“Escalation” parte come la caricatura di un brano rock, con le chitarre che fanno la parte del leone con vezzi cyberstereoidei. Taichi non ha freni e gioca un campionato tutto suo, a tratti sconnesso dalle macerie che lo ricoprono, mentre Taro e Koki estraggono suoni da chissà quali macchinari. A tratti sembra una lotta sulla falsariga di quei videogiochi di combattimento con cui siamo cresciuti, tipo Mortal Kombat e Street Fighter: zero profondità, solo scontro e conflitto. Solo che qui, davanti all’uomo, ci sono muraglioni di amplificatori e congegni che potrebbero andare avanti ore prima di mostrare segni di cedimento. Essendo all’ultimo scontro, massimizzano la resa lanciandosi oltre i tredici minuti di durata, una cassa dritta da catena di montaggio sotto ecstasy che a metà pezzo aggiunge polpa alla mattanza, come fosse una sorta di happy hardcore per ballare sopra alle macerie di un mondo intero.

Fall Of Spring non è semplice, eccetto per chi mastica questa musica da anni, ma è in definitiva corroborante, apre padiglioni e pori, e ci lascia frastornati ma lieti, pronti a riaffrontare il mondo con elmi ed armi nuove.