Emilio Galante: attraverso il flauto traverso
Emilio Galante è nato a Bologna, dove ha studiato flauto e composizione oltre a laurearsi in filosofia. Ha ottenuto inoltre un Meisterklasse Diplom alla Hochschüle für Musik di Monaco. Ha fondato nel 1998 l’ensemble Sonata Islands, promosso un festival di jazz e musiche nuove che si tiene dal 2002 a Milano e Trento.
La sua attività interpretativa e compositiva si muove fra i linguaggi della musica colta, del jazz e del rock. Fra le sue registrazioni più recenti, nel 2013 Sonata Islands Meets Mahler, nel 2016 Doublesex, nel 2018 Soul Doctrine per Innova e Zeuhl Jazz per Chant Records.
È coautore del Manuale del Flauto EDT. È docente di flauto al Conservatorio di Trento
Caro Emilio, raccontaci dei tuoi ultimi progetti musicali.
Emilio Galante: È appena uscito un cd del TIl Cage Ensemble, dall’organico assai inconsueto, tre flauti, vibrafono e contrabbasso, con Giulio Visibelli, Carlo Nicita, Luca Gusella e Tito Mangialajo: tutta musica di autori italiani, nostra o arrangiata. Lo presenteremo da settembre in concerto.
In quanto direttore artistico del “Trentino in Jazz”, parlaci della nuova programmazione e di come state gestendo questa emergenza Covid-19: ci saranno restrizioni del programma?
Riusciamo a ricominciare nella seconda metà di luglio, con molti punti di domanda sui contributi pubblici. In Italia chi ha contributi statali (Fus) quest’anno ha garantito l’80% dei contributi anche se non organizza nulla. Gli altri si arrabattano, con le amministrazioni comunali e provinciali che spesso si tirano indietro. Comunque la speranza è l’ultima a morire e noi intanto programmiamo.
Suoni il flauto utilizzando anche l’elettronica: in che misura ciò influisce sul tuo approccio al concerto o allo studio del tuo strumento?
Dipende dalle onde umorali. Ho passato interi pomeriggi a costruirmi patch di max per automatizzare i percorsi più impensati, ma da un po’ sono immerso nell’acustico degli strumenti vintage: per ora studio soprattutto Bach e Telemann!
La tua formazione classico-accademica incontra l’improvvisazione e il jazz in che momento della tua carriera?
Da ragazzo suonavo flauto e sax in una big band. Poi mi sono dedicato per anni alla formazione classica e all’esecuzione di musica contemporanea d’avanguardia. Di nuovo all’inizio degli anni Novanta è tornato lo studio di improvvisazione e live electronics, con il mio primo progetto in solo Linea Ombra. Da sempre continuo a vagare fra i due mondi, quello della scrittura e quello dell’improvvisazione – comprese le pratiche improvvisative e ornamentali della musica barocca.
Parlaci un po’ della tua passione per certe aree del rock progressive.
Beh, la colpa del mio essere flautista è di Ian Anderson… Jethro Tull, Genesis, Gentle Giant e King Crimson segnano la mia Bildung musicale. Li ho pure trascritti per quintetto a fiato classico qualche decina di anni fa! Continuo a suonare avant-rock in varie formazioni. Per la newyorkese Chant Records è in uscita il progetto Quasar Burning Bright di Sonata Islands, il mio ensemble.
Mi piacerebbe individuassi alcune figure per te importanti nell’attuale panorama della musica colta contemporanea e del jazz attuale.
Una domanda alla quale non so rispondere. Ascolto troppa musica diversa. Fino a qualche anno fa il mio compositore colto preferito era John Adams ma recentemente ha perso d’interesse per me. Bang On A Can ha prodotto musica straordinaria per il mio gusto. Per quanto riguarda il jazz ho ascoltato da poco un incredibile disco di Hermann Szobel, modernissimo, pulsante di energia! Szobel è morto negli anni Settanta…
Tu insegni in conservatorio, dirigi un festival e sei un musicista colto. Cosa ne pensi delle problematiche emerse recentemente in merito al rapporto dei musicisti col proprio lavoro? Questa emergenza Covid-19 ha evidenziato ulteriormente le ataviche problematiche relative alla programmazione concertistica in Italia. Tutto sembra essere (ancora) congestionato. Che soluzioni proporresti?
Magari avessi soluzioni! La musica dal vivo è un genere in via di estinzione, se dobbiamo valutare l’interesse della politica. L’unica speranza è il pubblico e soprattutto il pubblico giovanile. Per ovvie ragioni un pubblico di sessantenni dura quel che dura… La musica dal vivo ha un tale impatto emotivo da conquistare chiunque: non è una battaglia persa,
Concludiamo con la solita mia domanda finale: una tua definizione di “protezionismo” e “tutela” applicata all’arte.
Se ti riferisci alla tutela dei diritti editoriali, a torto o a ragione quello è un modello moribondo: tant’è, occorre farsene una ragione e rendere tutto gratuito. Se per protezionismo invece intendi la possibilità di farsi proteggere dall’istituzione pubblica, come accade in tanti paesi in Europa, ottenendo sovvenzioni, viaggi o quant’altro, ritieni possibile che si inveri in Italia, data l’eccellente cultura musicale dei nostri politici? Viene da ridere solo a pensarci… Come possono sopravvivere i musicisti allora? Raccogliendo mele, lavorando in miniera, esercitando le arti forensi… o insegnando in Conservatorio.