ELLI DE MON, Raise
Elli De Mon, attiva a livello internazionale da oltre un decennio, ha sempre lavorato sulle radici. Quelle del blues ruvido e pagano, quelle di un’impostazione talmente autarchica da settarla come one woman band. Adesso le radici vanno ancora più a fondo, nella propria terra di appartenenza: la songwriter e polistrumentista utilizza infatti a sorpresa il dialetto vicentino, in sostituzione dell’abituale e universale lingua inglese. Una scelta di istinto espressivo e lodevole ambizione nell’allestire il quadro d’insieme, attuata preservando attenzione principale sulle faccende sonore, come di recente fatto da nomi altamente ispirati come Daniela Pes e Massimo Silverio, eppure ancorata maggiormente alla narrazione: in “Raise”, fuori per Rivertale Productions, accompagnato da un libro scritto in prima persona con le illustrazioni di Luca Peverelli, si racconta una leggenda del paese di Santorso, legata all’uomo-cavaliere Orso, in seguito Re, parricida e, dirigendosi verso il monte Summano per riabbracciare se stesso, infine appunto Santo.
Il titolo del disco si presta come nome per il duo che adesso supporta in studio e dal vivo De Mon (voce, contrabbasso, chitarre, ukulele, sitar, dilruba, harmonium), con le ulteriori chitarre, i synth e i cori di Marco Degli Esposti, che ha anche registrato e mixato il tutto, e la batteria di Francesco Sicchieri. I dodici canti di Raise snodano il monologo del protagonista intrecciando noir folk e stoner. Si viaggia dall’aspro gospel della title-track alla foga punk di “Orso”, dalle corde di nuovo fortemente blues di “Sinner” al rock di “El Foresto”. La più morbida ballad “Suman” ed “El Me Moro”, singolo sulle violenze domestiche dove riaffiora l’amore per la psichedelia asiatica in drammatico crescendo noisey, recuperano antichi tradizionali, mentre “Nana Bobo” assembla addirittura uno standard veneto con una ninna nanna dell’India. L’immaginario naturalistico fa da sfondo all’essenzialità da storyteller di “Oseleto” (“Uccellino”), all’elettricità dark di “Babastrii” (“Pipistrelli”), agli archi e alle percussioni di “Giose” (“Gocce”), diventando eloquente nella grazia di “Sarò Tera”: Oh tera! / Me catarò in ti. Un ritrovarsi in cammino.