ELLEN ARKBRO, Chords
Per chi non lo sapesse, 4-5 anni fa c’era una band chiamata Hästköttskandalen, nella quale suonavano Arkbro, Kali Malone (ha appena pubblicato quasi due ore di registrazioni d’organo per iDEAL), Maria W. Horn (è da poco stata in Italia al festival LOST) e credo per un periodo anche Caterina Barbieri: se tutte stanno tentando, più o meno, una (ulteriore) re-introduzione e/o re-invenzione dei minimalismi del secolo scorso non è casuale, perché si conoscono, hanno frequentato gli stessi ambienti, accademici e non, e si sono parlate. Bisognerebbe forse capire cosa si sono dette in quei momenti – quando le etichette e la stampa indipendenti non le consideravano – per avere ben chiare le loro scelte odierne. Va detto che potrebbe solo trattarsi di passione per un certo tipo di musica, altrimenti non ci spiegheremmo l’esistenza e il relativo successo di Eleh e Important Records, ad esempio.
Il primo disco di Ellen Arkbro, For Organ And Brass, era stato realizzato in collaborazione con Zinc & Copper, un trio di ottoni che comprende Hilary Jeffery, all’opera con il Kilimanjaro Darkjazz Ensemble, ma anche con lo Zeitkratzer Ensemble. È un fatto che Ellen abbia studiato con La Monte Young, ma forse in pochi sanno che gli Zinc & Copper hanno lavorato con Phill Niblock: stiamo dunque girando intorno a uno stesso canone e lei sta seduta sulle spalle dei giganti, e di giganti ben precisi. La prima traccia di questo Chords, infatti, è in buona sostanza un quarto d’ora di drone generato con l’organo (il cui suono viene modificato anche grazie all’elettronica) e mi ricorda i pezzi per oboe e corno inglese registrati proprio da Niblock con Joseph Celli, da poco ristampati su vinile da Superior Viaduct. Sta invece a chi è più colto di me scoprire chi ha ispirato Ellen per la seconda traccia di questo disco uscito di nuovo per Subtext, dato che si tratta di un passaggio lento e secco di plettro su di una chitarra, ripetuto dopo qualche secondo di silenzio e anche qui alterato/integrato in parte con l’elettronica: il gesto è diverso, il risultato anche, visto che come si può intuire il suono non è continuo, ma il tutto è sempre zen.
All’interno della mia “bolla telematica” (frazione della minoranza di una minoranza) For Organ And Brass era piaciuto per via delle particolarità timbriche che possedeva. Chords non sembra avere questo stesso potere su chi ha apprezzato il suo predecessore, ma è indubbiamente manifesto dell’estetica riduzionista della Arkbro: pochissimi colori, sistemati secondo geometrie semplici e con un gusto particolare per gli accostamenti, come nelle copertine dei suoi due dischi.