ELIO MARTUSCIELLO, incise
Siamo immediatamente in medias res, travolti da un suono-sirena che spalanca mondi e suggerisce migrazioni, vertigini; descrivi quello che senti, si intitola la prima traccia, ed è dunque un invito, allora ci proviamo: io sento il suono di una fine, come tante altre volte, in tanti luoghi dello sconfinato arcipelago acustico. È una fine che porta con sé inevitabilmente una coda cometa di memorie, una babele di lingue, di sensazioni: dall’elettronica esplorativa di Paul Jebanasam alle fragilissime elegie degli ultimi Talk Talk, dal fruscio di sottofondo degli archivi polverosi di un Philip Jeck agli inni al vuoto di Greg Haines, ma sono solo le prime suggestioni che salgono a galla ascoltando questa prima, magnifica traccia, di incise, il nuovo lavoro in solo di Elio Martusciello, noto ai più per la sua militanza di lungo corso con gli Ossatura, uno dei più importanti gruppi italiani di sempre.
Blutopia del batterista Fabrizio Spera, locale, libreria e fucina creativa di Roma, co-produce questo lavoro assieme allo stesso Martusciello, che dichiara nel libretto di cercare di estendere le tecniche della musica concreta a un approccio pop sorretto da un cantato melodico ed emotivo. Di pop in senso molto lato si tratta, e di pezzi perfettamente in bilico tra tensione armonica e indagini nella notte (dell’anima, del suono, dei tempi): il tentativo per quanto mi riguarda può dirsi pienamente riuscito.
lascia perdere, non importa, la seconda traccia, è la prima con Barbara De Dominicis alla voce e funziona perfettamente, tra specchi infranti e trappole delicatissime, dimostrando la grande capacità di controllo di Martusciello, acrobatico e totalmente disinvolto nel muoversi tra caos ordinatissimo, glitch, drone, strutture, onde di rumore, dinamiche gestite con la maestria di un direttore d’orchestra. Non a caso stiamo parlando di un insegnante di conservatorio, dalle orecchie spalancate, e allora escono purissime meraviglie come swollen, la terza traccia, con Nicoletta Battelli, profonda e lirica come certe cose della Björk di Homogenic (il tuffo al cuore è simile a quello che ho sentito al primo ascolto di “Joga”, per me una delle più grandi canzoni elettroniche di sempre), poi si torna faccia a faccia con il lato oscuro, senza compromessi, e allora davanti al suono – come davanti alla morte, un gelido rimestare di percussioni digitali, porte che si aprono e si chiudono subito, micromondi, segreti, ombre, appostamenti, agguati: un noir elettroacustico in due minuti. Torna la De Dominicis – quasi una Beth Gibbons persa tra i bagliori di una metropoli arcaica e futuribile – nella quinta traccia, non sa se glielo devo dire: i titoli sono tutti minuscoli, come fossero gli incipit di un racconto, questa è la capacità più evidente delle macchine parlanti di Martusciello, quella di raccontare una storia, come se suonassero il folk del nostro tempo alla deriva, del nostro tempo frantumato, come se fossero briciole di specchi dove per un attimo riusciamo finalmente a riconoscerci. E infatti (e me ne accorgo mentre scrivo) il sesto pezzo, un altro prodigio strumentale, un blues al silicio, si intitola proprio lo specchio orientato. Sarà un caso, o basta ascoltare con le orecchie aperte e il cuore spalancato, lasciando entrare la musica? Quali sono i poteri del suono? Perché questa musica mi parla istantaneamente? Come riesce Martusciello a far sentire sulla pelle il vento, manco fossero fenomeni atmosferici, questi, invece che artefatti tecnologici? Chissà. Domande che resteranno inevase, e va benissimo così. Del resto, quando ci vediamo ti spiego tutto (la traccia sette, cantata da un’anonima), e sono ancora millepiani deleuziani che si sovrappongono, come la versione audio di un’ecografia in 3d, una musica in perenne movimento, elegantissima e inquieta, classica eppure ultramoderna. “Open your eyes”, suggerisce la voce, come qui, ma le facce anche in sogno muoiono (la traccia otto) e di nuovo sono sospensioni amniotiche o in un’atmosfera senza gravità (avrebbero funzionato bene, alcune di queste sinfonie in miniatura, assieme alle immagini di “Interstellar” di Nolan, al posto delle magniloquenti e certo funzionali partiture di Hans Zimmer), del resto meraviglia sotto era (la traccia nove), si oscilla tra stupore e dolore, tra nascita e morte in questo catalogo di infinite possibilità, il tempo passa fino alla fine, come dei Portishead in anestesia totale, struggenti ed inesorabili, un groove che non lascia scampo, due note di synth su un ritmo ciondolante che resta appiccicato in testa, una pop song perfetta se le radio fossero diverse da quello che sono, e poi ancora i fiordi di parte della vita è andata, il miele melodico di liricamente aperte, un suono di puntina a chiudere questo lungo addio.
Ci fu un tempo in cui nel mondo si cantavano le canzoni e questi quindici pezzi sarebbero stati un ideale message in a bottle (send another s.o.s.) nell’oceano dello spazio per cercare un contatto con altre civiltà: l’ultima traccia, la casa è zitta il doppio, analogie con la lingua imprendibile delle creature di “Arrival”, e poi un silenzio improvviso, perché è così che tutto finisce, con un punto, messo in modo arbitrario e spesso troppo presto da un dio indifferente e invisibile. Un dio imprendibile, ma che, come uno dei dieci altri possibili titoli che Martusciello ha dato a queste canzoni (come se le parole non fossero abbastanza per racchiudere questi universi acustici) si può immaginare.
Più che un disco, un’esperienza, a cui tornare. Un cd prezioso come un amuleto e potente come una pianta sacra.
Magistrale.
Tracklist
01. descrivi quello che senti
02. lascia perdere, non importa
03. swollen
04. davanti al suono – come davanti alla morte
05. non sa se glielo deve dire
06. lo specchio orientato
07. quando ci vediamo ti spiego tutto
08. come qui, ma le facce che anche in sogno muoiono
09. meraviglia sotto era
10. se non si libera dalle parole
11. il tempo passa fino alla fine
12. dal reticolato di protezione. una coerenza o, di quella,
appunto un somigliare – le aiuole del giardinetto corto.
un giro corto se lo si volesse visitare. anche meno di
dieci passi per lato.
13. parte della vita è andata
14. liricamente aperte
15. la casa è zitta il doppio