ELEGI, Bånsull
Elegi mette in pausa la sua trilogia su Miasmah Recordings e si dedica a una declinazione più musicale della sua ambient a zero gradi.
Bånsull è un album che il norvegese Tommy Jansen, l’uomo dietro al progetto, racconta essere nato quasi per caso: interpellato dalla Dronarivm, etichetta russa che tratta piuttosto ecletticamente sonorità che afferiscono all’ambito modern classical, l’autore ha rielaborato (e riesumato) una collezione di nastri tenuta in soffitta. Su queste cassette aveva inciso delle ninnananne per la figlia, che inspiegabilmente le causavano gli incubi.
Questo lavoro si discosta dallo stile romanzesco dei precedenti Varde e Sisteresis, nei quali i brani si disgregavano nella narrazione dell’album. Potremmo quasi dire che Bånsull è strutturato come una raccolta di nove racconti indipendenti, ma accomunati dalla cifra dell’utilizzo della melodia in forma di fantasma. La musica è infestata dagli stessi spettri dei lavori di Caretaker e degli episodi più emotivi dell’ultimo Claudio Rocchetti, e suona sempre come il punto in cui la catena di ricordi si sostituisce alle note di quella canzone per noi carica di memorie.
Lo stile è austero, in quella maniera spiccatamente nordica, con gli archi e le voci che tessono trame melodiche essenziali e malinconiche, immediatamente risucchiate però in una dimensione psicologica da una foschia di suoni concreti e riverberi, con i campionamenti dei 78 giri che fungono da continuo contrappunto. Ci sono momenti, come nella nebulosa “Mørtemann”, dove pare davvero di ascoltare i turbamenti di una seduta psichiatrica, ma l’anima romantica dell’album, che trova sua massima espressione nella sonata dai toni crepuscolari di “Full Av Tomhet”, rimane sempre indiscutibilmente la protagonista.
Bånsull è insomma la musica perfetta per accompagnare la proverbiale tazza di tè con la madeleine, se Alan Foster in “Danza Macabra” di Antonio Margheriti ne prendesse una.