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EKS, The Lost Tape (EksM Vol.2)

La cassetta in questione avrebbe potuto non vedere mai la luce, e da qui il titolo “The Lost Tape”: le tracce realizzate originariamente per il secondo volume della saga EksM sono infatti andate perdute in seguito a un guasto del computer di Guido Marziale, il beatmaker napoletano che si nasconde dietro la sigla Eks, già coinvolto in Radford Electronics e Genital Warts. Croce e delizia, potremmo dire, della musica ai tempi del computer: facilità di accesso alle tecnologie di produzione e acquisizione della musica ma, nel contempo, estrema volatilità del materiale prodotto. Comunque, grazie al classico amico smanettone, lo sfortunato Guido è riuscito a recuperare almeno parte del lavoro; alcune tracce sono state lasciate volutamente incomplete o prive di editing, altre sono state prese da vecchie registrazioni e aggiunte per arrivare al numero totale di pezzi contenuti nella cassetta, venti per la precisione.

Rispetto al precedente episodio uscito nel 2015 per Kӧrper/Leib – e in barba agli accidenti subiti – quelle contenute in The Lost Tape stanno in piedi meglio e pochi sono i momenti morti: il rischio di operazioni del genere, incentrate prevalentemente sull’uso della ritmica, è infatti sempre quello di realizzare qualcosa di stucchevole o in qualche modo mutilo. Eks, partendo da un retroterra hip hop (e si sente), maciulla le cadenze del suo beatmaking rendendolo materia turpe e vischiosa su cui impiantare campioni scelti  e maneggiati con gusto e originalità (oriente, occidente, blues, da qualche parte mi sembra pure di orecchiare i sempre cari Wolf Eyes…), dispensando ai padiglioni auricolari scenari ricchi e parecchio mutevoli. La mancanza di una voce narrante, ammesso che si trovi chi abbia le capacità e la voglia di rappare sopra tali cose senza snaturarle, non si fa sentire, anzi, l’abilità nel manipolare suono, ritmo e rumore di Eks è eloquente di per sé. Il nastro è pubblicato da Subincision Records, etichetta dello stesso Guido Marziale dedicata a quelle che il medesimo definisce pratiche musicali estreme: la Napoli che ci piace, insomma.