EINSTÜRZENDE NEUBAUTEN, Alles In Allem
A tredici anni dal precedente vero e proprio album di studio, Alles Wieder Offen, gli Einstürzende Neubauten sono tornati. Senza contare l’atipico Lament, uscito nel 2014 e commissionato dalla città di Diksmuide per celebrare il centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale: un innesco per il nastro della memoria che si riavvolge. Cosa aspettarsi, oggi, dai maestri tedeschi? Il primo brano in scaletta, nonché primo singolo estratto, “Ten Grand Goldie”, esalta con il suo post-punk bluesy su ritmiche industrial tribaleggianti, risultando più moderno della maggior parte degli anche meno maturi colleghi in circolazione.
Realizzato grazie al finanziamento e alla partecipazione attiva della propria fan base, adottando un processo creativo basato sull’utilizzo casuale di un sistema di carte per libere associazioni, e dedicato alla propria città di origine, Berlino ovviamente (nonostante il brano che ha avviato il tutto, il programmatico “Welcome In Berlin”, sia stato poi scartato), Alles In Allem è il primo full length che ritrae gli stessi musicisti in copertina, a dare per l’appunto il benvenuto, perché il quarantennale di attività va in qualche modo onorato, in attesa di tornare on stage… C’è grande eleganza pop-rock e c’è un minimalismo non troppo distante dagli ultimi capolavori del vecchio amico Nick Cave nel maneggiare la forma-canzone, alternando ballate quando più dinamiche (“Am Landwehrkanal”, a un passo dal folk, inteso pure come storytelling visto che si racconta della morte di Rosa Luxemburg) quando fantasmaticamente ombrose (“Möbliertes Lied”, “Seven Screws”, la title-track) e sporadici momenti noise (“Zivilisatorisches Missgeschick”, in collegamento ai fasti sconquassanti di un tempo, tanto nei clangori quanto in una performance vocale dalla teatralità terrorizzante; oppure in misura minore “Taschen”, che sostituisce il leggendario rumore delle motoseghe con quello più delicato delle borse del suo titolo, rinvenute nella spazzatura, a compenetrarsi con gli archi).
Si finisce girovagando tra la strada “Grazer Damn”, il quartiere di “Wedding” – presenza concreta grazie ai field recordings – e l’aeroporto di “Tempelhof”. Non sono più i nuovi edifici che crollano, in fondo manco quelli più datati: le foto del presente e del passato scorrono con i conflitti – bellici, del progresso e del regresso, sonori, interiori – a tratteggiare un bilancio antidogmatico dell’umano e del disumano, di un Halber Mensch. Non è più un solo centro urbano. È l’intero mondo al collasso. Blixa Bargeld e soci, riflessivi, quasi spettri di loro stessi in encomiabile autocontrollo, sembrano compiere l’ultimo giro di danza a chiudere il cerchio con la loro storia, artistica ed esistenziale. Verranno altri esperimenti. Intanto, Alles In Allem è il giro di vite.