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EINSTÜRZENDE NEUBAUTEN, 12/6/2022

Losanna, Docks. Le foto sono © Gérard Gandillon.

Nei giorni precedenti il concerto avevo dato una ripassata all’archivio personale e scoperto con orrore che non vedevo gli Einstürzende Neubauten in azione dal 18 marzo 1989, a Torino, Sala Presse del Lingotto (nel caso, qui trovate una ruspante documentazione audio di quell’evento). Da allora sono così cambiati e imborghesiti come recita la vulgata comune? Sì e no, verrebbe da dire, perché se è vero che di quelle ardite performance da operai battilastre armati di trapano e martelli è rimasto poco o nulla, è altrettanto sicuro che il loro battagliero spirito dadaista non si è del tutto perso per strada. Semmai si è man mano incarnato in nuove forme, magari inconsciamente suggerite dagli anni che scorrono e modificano la percezione di chi suona come di chi ascolta.

Osservati in azione sul palco dei Docks, in mezzo a una folla devota e osannante, stipata tra platea e loggione al limite della capienza del locale, gli Einstürzende Neubauten hanno suscitato la bella impressione di artisti ancora pronti a offrire con sincerità l’anima al loro pubblico, nell’occasione piuttosto eterogeneo, in una gamma cromatica che andava da giovanissimi punk a canuti signori (e signore) prossimi alla settantina. Il gran cerimoniere Blixa Bargeld e i suoi non si sono dimenticati di come si fa a calamitare l’attenzione e l’ascolto, e dalle quasi due ore di show non si ricava mai l’idea di essere di fronte a certi patetici dinosauri del rock, senza speranza e per fortuna in via di estinzione. A creare la giusta atmosfera post-industrial-atomica, ormai spoglia di ogni intento provocatorio e distruttivo, non ci hanno messo molto. Pragmaticamente la scaletta ha incrociato con equilibrio e mestiere l’ultimo Alles In Allem, da due anni in frigo in attesa di essere portato in tour e proposto quasi per intero (è mancato all’appello soltanto il valzer lento “Am Landwehrkanal”), e brani stagionati che tornano a ritroso fino a Silence Is Sexy (“Sabrina” e “Sonnenbarke”). Litanie e canzoni come vuoti a perdere riescono comunque a stare appese in aria durante e dopo l’esecuzione, grazie anche all’ambaradan di oggettistica che gli Einstürzende Neubauten si portano appresso dai tempi belli o hanno recuperato nella circostanza. Il drum kit da fonderia, la turbina messa in moto e accarezzata con spazzole da jazzista o tondini di ferro, il carrello del supermercato da solleticare di lato o usato come base per una marimba autocostruita, bidoni di plastica e latta, lunghi tubi da percuotere e altre diavolerie simili creano lo scarto necessario non più a épater le bourgeois bensì a mettersi in scena con una salutare autoironia, a ribadire l’intenzione di non voler fare la bruttissima fine di trasformarsi nella cover band di se stessi. Il che non impedisce a Blixa di zittire in maniera energica un fan che si stava verbalmente sovrapponendo in tedesco a una sua introduzione. Il rispetto per i paganti non viene d’altro canto mai meno e al rientro per una prima serie di bis, sempre Bargeld ha l’accortezza di rivolgere parole gentili e spiritose a una ragazza svenuta durante “How Did I Die?”: «non è stato il momento migliore per farlo, ma le auguriamo di rimettersi presto e le dedichiamo il prossimo brano». Per il gran finale la scelta è caduta su “Let’s Do It a Dada”, punk’n’roll condito di travestimenti, citazioni futuriste, elettronica deragliante e un secchio di scarti metallici scosso e poi rovesciato musicalmente a terra. Giratela come volete, gli Einstürzende Neubauten rimangono tra i crucchi più simpatici del pianeta. Erano edifici nuovi e precari che dovevano crollare da un momento all’altro, ma sono tutt’ora in piedi e godono di discreta salute.