EHNAHRE, The Scrape Of A Keel
Il nuovo lavoro degli Ehnahre continua, come ormai da tradizione, a spingere oltre e testare il percorso di astrazione delle loro radici metal attraverso un continuo avvicinamento alla musica contemporanea e alla contaminazione con le derive sperimentali più coraggiose. The Scrape Of A Keel è stato, infatti, registrato live a Davis (California) nel febbraio 2019 e le cinque tracce sono frutto di totale improvvisazione tra i quattro musicisti: Joshua Carro (percussioni), Richard Chowenhill (chitarra). Ryan McGuire (basso e voce) e Jared Redmond (piano). Per completare le informazioni necessarie a decifrare questo disco, i testi affidati alla voce di McGuire sono adattamenti da “Colossus” di Sylvia Plath, “Fizzle #4” di Samuel Beckett e “De Profundis” di Georg Trakl, un’ulteriore sfida per una realtà che sembra sempre più aumentare la complessità della propria formula così da toccare non solo altri stili musicali ma persino altre forme espressive come in questo caso avviene con la poesia. Cosa resta allora del background e dell’approccio metal (seppure non convenzionale) delle prime uscite e che già con Old Earth e il successivo Douve aveva cominciato a farsi da parte per lasciare sempre più spazio alla vena sperimentale degli Ehnahre? Su The Scrape Of A Keel i quattro sembrano distanziarsi anche dal più recente The Marrow (2017) per lasciare piena libertà espressiva ai loro strumenti e gettarsi a capofitto in quella ricerca sonora che con buona probabilità risulta oggi la cosa più vicina alla furia iconoclasta e dissacratrice del primo black metal, come evidente tra le pieghe dell’iniziale “Colossus”, in cui la chitarra di Chowenhill e la batteria di Carro sembrano rimettere in note una Oskorei (o caccia selvaggia) tanto cara all’immaginario degli appartenenti alla prima scena scandinava. Per questo, nonostante il sempre più radicale distanziamento dalla forma palese, in realtà gli Ehnahre non rinnegano il metal, piuttosto lo mettono in continua discussione, né d’altronde mutano faccia in una entità altra da sé, molto più semplicemente continuano coraggiosi lungo un percorso che per quanto vada distante non tradisce mai sé stesso né strappa del tutto le proprie radici. Così, sebbene l’uso di drone (come da sottotitolo “Drones And Improvisations”) che affiora nelle pieghe delle composizioni riavvicini in qualche modo ai lidi di un estremismo sonoro che ha una sua ben precisa scena di riferimento, resta ben evidente l’approccio radicale e del tutto personale di una formazione che molto difficilmente potrà diventare feticcio per un pubblico generalista o per qualche rivista/sito di grido. Ecco, quando si parla di avanguardia e di evoluzione del metal in relazione a proposte che in realtà hanno ormai ben poco di realmente sovversivo, ci si dovrebbe avvicinare all’universo sonoro degli Ehnahre per comprendere cosa voglia dire seguire una via propria e contraria ad ogni logica di mercato per la sola voglia di esplorare e mettersi alla prova. Al solito, non per tutti ma decisamente appagante.