EHNAHRE, Ryan McGuire
Faccia a faccia con Ryan McGuire per scavare a fondo nella nuova creatura degli Ehnahre, Old Earth, un album affascinante e ricco di spunti che ha saputo catturare la nostra attenzione e confermare le potenzialità di una delle band meno canoniche e più stimolanti oggi in ambito estremo.
Cosa è successo nel tempo trascorso tra Taming The Cannibals e Old Earth?
Ryan McGuire: Niente al di fuori dell’ordinario, volevo realizzare un album composto da un solo brano. Così ho trovato un concept e abbiamo impiegato il 2011 a scrivere, provare, arrangiare e mettere insieme il tutto.
Ti va di parlarci del concept sul quale si basa l’album? Cosa ha ispirato il titolo e l’artwork?
Ho scoperto questo lungo poema in prosa di Samuel Beckett e mi ha davvero comunicato qualcosa. Si chiama “Old Earth” e questo è ovviamente la spiegazione del titolo, così come i miei versi sono un adattamento di quanto scritto da Beckett. L’artwork è opera di Lee Tindall. L’idea gli è venuta dopo aver ascoltato la musica e noi lo abbiamo aiutato a realizzarla. Crediamo abbia fatto un gran lavoro.
Old Earth appare come un ulteriore passo nell’evoluzione del vostro suono. Sembra quasi che abbiate voluto superare i vostri limiti e abbiate aggiunto nuovi ingredienti all’insieme. Preferite lavorare secondo un piano preordinato o lasciate che le cose seguano un processo vicino al flusso di coscienza?
Direi che c’era un piano: sapevamo quale “prossimo passo” avremmo voluto compiere. Come ti dicevo, volevo realizzare un album basato su un’unica composizione. Abbiamo trovato un’idea e l’abbiamo concretizzata quando ogni cosa era al suo posto. Ci piace spingerci oltre con ogni nuovo album, tentare qualcosa di nuovo o che non abbiamo mai sperimentato prima. Di sicuro, non vogliamo diventare ripetitivi. Vogliamo che ogni disco porti le cose ad un livello successivo, in un posto dove non siamo mai stati, così da forzarci a scrivere e ad esprimerci in modi nuovi.
Come vi siete mossi al momento di comporre l’album? C’è qualcuno che suggerisce le idee base su cui muoversi o agite come un team?
Finora ogni album è stato concepito da me. Io arrivo con le idee, sviluppo le strutture e allestisco un canovaccio grezzo dell’intero disco. Ma nel momento in cui ci lavoriamo, ciascuno nella band contribuisce agli arrangiamenti, spesso suggerendo variazioni o modifiche ad alcune parti. Certe volte qualcuno riscrive un’intera sezione.
Quale è il vostro bagaglio come ascoltatori e musicisti? Cosa ha influenzato il vostro approccio alla musica?
Per me direi il death metal anni Novanta, che ha giocato un ruolo fondamentale. Band come Morbid Angel, Death, Immolation, Suffocation, Gorguts e così via. Qualcosa di doom e sludge di quel periodo, come Grief, Corrupted, Burning Witch. Ma anche la musica contemporanea è molto importante per formare un approccio personale. Alcuni dei miei compositori preferiti sono Luciano Berio, Peter Maxwell Davies, George Crumb e Pierre Boulez.
Le persone etichettano la vostra musica in molti modi differenti. Immagino che abbiate alcune storie curiose sulla percezione e le reazioni di media e ascoltatori.
Molte persone la definiscono come sperimentale o avant death-doom, che per me va benone. L’unica cosa che mi infastidisce è l’essere etichettati come jazz, come death-jazz, doom-jazz o jazz-metal. Non siamo musicisti jazz, non suoniamo jazz e niente negli Ehnahre è in qualche modo jazz. Ci sono alcuni strumenti a fiato e alcuni elementi di improvvisazione, ma il jazz non ha il monopolio su queste cose. La gente improvvisava ben prima che nascesse il jazz e io preferisco collegare queste parti alla musica contemporanea, aleatoria, sperimentale, avantgarde, noise. Non ci sono progressioni II-V-I né tonalità di questo tipo, né linee melodiche guida, nessun assolo, né ritmi swingati, niente che si possa paragonare al jazz in alcun modo, tranne che alcuni strumenti e la sperimentazione, che come ho già detto sono due cose che hai anche in altri generi musicali. Trovo davvero frustrante l’etichetta jazz applicata alla nostra musica.
C’è anche la percezione, o malinteso, che la creazione della nostra musica sia fredda e calcolata, che non ci sia vera emozione o che, magari, componiamo musica difficile solo per sentirci superiori. Molti ascoltatori e giornalisti si fanno l’idea che la mia musica non sia genuina. C’è anche un grande utilizzo del termine “pretenzioso”. Ma questa è tutta merda. Questa musica è estremamente personale e vicina al nostro essere, è importante per le nostre vite e espressione di qualcosa che è innato e astrattamente vero in noi. E asserire il contrario è in qualche modo insensato e, ad essere onesti, offensivo.
Ho sentito che Donoso ha lasciato gli Ehnahre, è vero? Chi è dentro oggi?
Ricardo ha lasciato gli Ehnahre, ha preferito focalizzarsi sul suo lavoro solista e ci siamo separati in modo amichevole. Abbiamo ora alcuni nuovi membri, per cui siamo riusciti a tornare in carreggiata in maniera veloce. Abbiamo Brandon Terzakis alla batteria, Rich Chowenhill alla chitarra e Jared Redmond che suonerà il piano e ci aiuterà in fase di composizione.
Old Earth vede in azione anche alcuni ospiti, ti andrebbe di presentarceli e raccontarci qualcosa sulla vostra collaborazione?
Abbiamo avuto due soli ospiti su questo disco, Greg Kelley e Forbes Graham, entrambi alla tromba. Con Greg ci si conosce da parecchio, io e Ricardo lo abbiamo conosciuto suonando insieme nel circuito impro di Boston. È un musicista fantastico, vi raccomando di cercare il suo materiale solista, perché solo lì estende tutta la sua tecnica. Forbes è un nostro amico dai tempi dei Kayo Dot. Quando io e John ci siamo uniti ai Kayo Dot, Forbes era una recluta. Abbiamo, poi, lasciato la band in contemporanea, ma siamo sempre rimasti in contatto. Suono con lui anche in una band che si chiama Wild May, con Luther Gray e Kevin Frenette.
Cosa mi dici delle vostre performance live? C’è un mood o un immaginario particolare che vorreste trasmettere agli ascoltatori durante i vostri concerti?
No, nulla di specifico, non ci interessa creare una rappresentazione teatrale o qualcosa di simile. Vogliamo restare concentrati sulla musica e suonarla come l’abbiamo pensata. Se riusciamo a suonare in modo potente e a comunicare all’audience il nostro coinvolgimento emotivo nella musica, allora abbiamo ottenuto ciò che ci eravamo prefissati.
C’è qualche possibilità di vedervi in Europa e, magari, in Italia nei prossimi mesi? Con che band vi piacerebbe andare in tour?
Ci piacerebbe davvero molto venire a suonare in Europa. Avremmo dovuto venirci in autunno, ma con l’attuale situazione economica non siamo riusciti a raccogliere l’interesse e il denaro necessari per realizzarlo. Quindi abbiamo optato per un tour della costa Ovest degli States. Con l’uscita di Ricardo, però, anche questa idea è stata purtroppo accantonata. Ora, con i nuovi ragazzi nel gruppo, ci vorrà un po’ di tempo prima di riuscire a riprendere l’attività live. Per quanto riguarda le band con cui andare in tour, ci farebbe piacere chiunque volesse bere assieme a noi e non ucciderci al mattino dopo per le nostre buffonate da ubriachi. Direi, però, che i Portal sarebbero davvero una buona scelta.
Grazie mille per il tuo tempo, a te le conclusioni…
Grazie a te, spero che ci incontreremo on the road prima o poi.