EARTH BLACK BOX, Earth Black Box
27 marzo 2347. È stata ritrovata a La Serena, cittadina a nord di Santiago, la famosa scatola nera musicale denominata Earth Black Box. Gli autori, decifrati tramite le iscrizioni, sarebbero tre musicisti italiani: Rosa Lavita, Daniele Santagiuliana e Luca Giuoco. Al suo interno due suite intorno ai venti minuti di durata, messaggi sonori intraducibili, ma che lasciano un segno chiaro a noi, i posteri.
Il suono comprime e accompagna una transizione che non siamo certi di comprendere appieno: lo sgretolarsi, il crollo e la trasformazione da forme inconsuete sono quel che ci rimane. È difficile capire cosa ci fosse prima, avendo soltanto una testimonianza sonora, senza avere idee di cosa ciò racconti. Di certo, sotto traccia si odono rimbrottii e singulti strumentali, un’ombra di musica che costruisce un’atmosfera in qualche modo decadente. “Reels One” suona come se i musicisti avessero tenuto a fianco a sé gli strumenti più cari ammorbidendo il loro tocco mentre tutto, accanto a loro, rovinava. La seconda testimonianza inizia come litania acquatica sulla quale si innestano bassi e rumori cavernosi a ondate, un grumo di suono gommoso che sembra essere martoriato da elastici. Dopo un passaggio industriale il tutto si fa aereo e impalpabile come se l’energia fosse in procinto di lasciare il pianeta in un ciclico passaggio da vita ad aridità. Il ronzio che rimane si gonfia sempre più, diventando una cappa in moto perpetuo, ingranaggi che ormai hanno perso il baricentro e impostano un paesaggio sonoro grigio, storto e basculante. Chissà che cosa avrà potuto significare 223 anni fa alla sua uscita. Forse, ad averlo ascoltato allora, avrebbero potuto cambiare qualcosa.a