EAGLE TWIN, The Feather Tipped The Serpent Scale

The Feather Tipped The Serpent Scale

Non è certo azzardato fare un paragone tra questo The Feather Tipped The Serpent’s Scale e Hephaestus degli Iceburn. Il trait d’union tra i due album è – ovviamente – Gentry Densley, compositore, cantante e chitarrista di Salt Lake City (UT) e figura chiave del rock pesante più evoluto degli ultimi vent’anni. Pensateci: come quasi vent’anni fa con gli Iceburn, anche qua ci si deve confrontare con un’espansione di tutto quello (e già tanto) che si trovava nell’eccellente esordio. Da Firon a Hephaestus, e da The Unkindness Of Crows a The Feather Tipped The Serpent Scale: là era l’hardcore a venire trasformato, qua il metal, ma il processo di approfondimento è il medesimo. Come il suo corrispettivo, che prendeva il nome dal dio del fuoco della mitologia greca, anche in questo secondo disco degli Eagle Twin ci si trova di fronte a un album che è un unico blocco di roccia e metallo, ma al cui interno batte un cuore pulsante che manda in circolo sangue nero come le tenebre. Un solo titanico pezzo di musica suddiviso in sette movimenti – piuttosto che brani – che si susseguono senza pause, capitoli di un concept incentrato sulla figura biblica e mitologica del serpente che prende vita sulla terra dopo la caduta dei corvi alla quale si riferiva il titolo dell’album precedente. C’è un che di profondamente mistico nella musica degli Eagle Twin, una sorta di spiritualità dark che li accomuna a gruppi come Om, Swans e pochi altri, e si ha continuamente la sensazione di trovarsi davanti a qualcosa di grosso, che non si può afferrare nella sua totalità pena il rischio di perdere la bussola. Provando qualcosa di simile, che so, a Dante quando arriva al cospetto dei tre cerchi divini alla fine del Paradiso o agli investigatori lovecraftiani quando si trovano davanti ai Grandi Antichi. A ogni ascolto emerge qualcosa di nuovo e ci si meraviglia di non essersi accorti prima di un qualche riff ipnotico e “serpentino” o di uno degli innumerevoli scambi tra la chitarra e la batteria di Tyler Smith. Sì, perché gli Eagle Twin sono sempre e solo in due, ma dotati di una fantasia e un’intesa tale che sembrano riempire completamente lo spazio, continuando a variare e giocare attorno a ogni tema portante, alla stregua di due jazzisti navigati. Tutto quello che c’è in questo disco nasce dal suono delle grasse bordate di chitarra e del ringhio salmodiante da didgeridoo di Densley, che assieme ai colpi che sanno di infinito di Smith riesce a creare un enorme tempio di sludge-doom. Qui si passa dal suono di elefanti in carica ad atmosfere blues crepuscolari, tra melmosi incedere vicini al grunge più cupo di “HornSnakeHornS” (in cui sembra quasi di sentire il controcanto di Layne Staley) al suono dell’America desolata della paludosa “Lorca (Adam)”, tra Earth, primi Melvins e Neurosis, giusto per citare una manciata di gruppuscoli capiscuola. Ridursi però a fare un mero elenco di nomi non renderebbe giustizia a un disco che è molto di più e di cui probabilmente non si è ancora compresa in pieno la grandezza. Adesso le gambe tremano al solo pensiero di cosa ci faranno ascoltare gli Eagle Twin in futuro.

Tracklist

01. The Ballad Of Job Cain Part 1
02. The Ballad Of Job Cain Part 2
03. Lorca (Adan)
04. Snake Hymn
05. HornSnakeHorns
06. It Came To Pass The Snakes Became Mighty Antlers
07. Epilogue, Crow’s Theology