È sempre l’ora dei Klippa Kloppa
Outsiders per scelta o necessità poco importa, i casertani Klippa Kloppa stanno riscrivendo alla loro maniera il manuale segreto della musica popolare italiana.
L’incipit non sembri esagerato, perché qui siamo al cospetto di musicisti coi fiocchi, dotati di un’invidiabile ispirazione. Provare a sbrogliare la gigantesca matassa della loro discografia provoca orticarie piuttosto rognose, ma i più attenti e volenterosi vengono ripagati con una serie di lavori degni di attenzione.
Loro sono Prete Criminale, Dino Draghen, Capos, Naga e Seasshe Whitehead, suonano all’incirca dal 1999 e sono la meglio sconosciuta creatura del sottobosco italico, ma quello vero, non quello studiato a tavolino e pronto per trovare spazio sulle webzine alla moda. Anche perché la loro proposta è una cornucopia di stili e reminiscenze che necessitano di un processo di assimilazione prolungato: come per un buon vino che invecchia in una cantina nascosta ai più, occorre stappare nelle occasioni speciali. Aggiungiamo pure il fatto che praticamente non troverete i loro dischi nei negozi specializzati e la frittata di misantropia è fatta. Alla loro musica, dunque, è da accostare questa tattica suicida di non far molto caso alla promozione: i motivi sono a noi sconosciuti, ma possiamo immaginarne alcuni, uno tra tutti il fatto che sono talmente occupati a comporre che quasi non fanno caso al contorno. Tant’è, a Prete & soci basta suonare nella maniera che è a loro più congeniale, coltivando un puro spirito anarchico e la voglia di fagocitare passioni ed esperienze, le più disparate, riversandole in questi lavori incatalogabili.
Scatole, canzoni & fantasie
Una base c’è, però, ed è il box riassuntivo della loro opera omnia (Klippa Kloppa 2000-2010), che nel frattempo, come da prassi, s’è riempita di altre pubblicazioni (il nuovo doppio La Femme Bleu e chissà cos’altro mentre stiamo scrivendo). Il cofanetto è un piccolo gioiello di cartonato pauperismo estetico che tanto somiglia a una scatola dei sogni trovata per caso. Noi ci siamo avvicinati alle loro composizioni da principio con una dose di scetticismo, che invece è presto diventato ammirazione. Proviamo a spiegarci meglio, muovendoci a random: prendete ad esempio un pezzo come “Il Tempo Delle Mele” (da Dio, 2011), sublime motorik pop che omaggia e supera a destra il Battisti più dadaista, quello del sodalizio con Panella (ascoltate anche “Seduta”, estratta da Io Ti Lecco Quando Vuoi e godete ancora di più). Vi sembrerà di bere dell’acqua fresca, cosi buona da togliere il fiato. Non stiamo esagerando, o tanto meno peccando di vanità critica, perché le differenze di scrittura col resto del panorama musicale italiano sono impressionanti: ad esempio, i deliri free-rock di “Pax Vobiscum” e l’empatia estatica di “Pensiero Critico” (da Figurine E Favoline, un doppio album), o ancora l’andamento saltellante e felice di “Mr. Jean Pierre” (dall’esordio Shikoku F-Dragon Baby), la traccia finale di Babyday Babynight (degna dell’unico film di Charles Laughton, “Night Of The Hunter”). È sempre l’ora dei Klippa Kloppa, dunque, anche quando giocano duro con la melodia come farebbe Joe Hisaishi per un film di Takeshi Kitano (“Affogata”, contenuta in Giovannino) o quando si buttano a capofitto in esperimenti più arditi di avant music (“La Santa Inquisizione Lancia Il Suo J’Accuse”, dove pare di scovare il fantasma più frivolo di Philip Glass), tra onnipresenti ghirigori blues quasi spastici (“Vulva Vitamina O Bastian Contrario”, da Africa Magica) e suoni concreti figli di John Cage che incontra l’exotica più raw (“Icario”, estratta da Ellade). Non a caso lo scorso inverno si sono cimentati in riletture della migliore “classica contemporanea” per la indie-radio romagnola NK: dallo stesso Cage a Steve Reich, Terry Riley, gli Nmperign. Questo per sottolineare ancora di più la bontà e la vastità di un progetto che, lo ripetiamo, risulta talmente complesso che è impossibile interpretarlo senza metterci un minimo di attenzione. Con quel nome poi, che sembra più uno sberleffo futurista che un moniker a uso e consumo della media degli appassionati di rock e dintorni…
Tradizioni & creatività onnivora
Al gruppo campano non basta tutto ciò, visto che – paradossalmente rispetto a quanto scritto prima – gestisce un corposo canale YouTube, dove compaiono tante di quelle perle da far venire il capogiro: ci vengono in mente, tra le altre, “Liber Al Baruch”, lungo delirio paranoide dalla prosa tanto esoterica quanto provocatoria. Per non parlare della disamina intimistica di “Simonpietro E Giosuele” (inserito nel nuovo disco, per la cronaca), un affondo riuscito dove la voce filtrata a mo’ di Daft Punk stride felice con il crooning à la Fred Bongusto di Nicola Mazzocca (vero nome del Prete). I Klippa Kloppa fanno come gli pare, e d’altronde hanno un passato non indifferente e prestigioso, vengono infatti da quell’officina di musiche ermeneutiche che è la messinese Snowdonia di Cinzia La Fauci e Alberto Scotti (Maisie), solo per meglio chiarire di quali sodali stiamo parlando. Questa è gente che la forma-canzone la mastica da sempre, che anche quando dorme pensa pop. I Klippa Kloppa sotto sotto sono i figli illegittimi degli Squallor e idolatrano, diremmo a ragion veduta, un vero dropout come Flavio Giurato (amano rifare dal vivo la sua “Orbetello Ali E Nomi”), solo che sono cresciuti in una stanza nascosta (l’incredibile e folle provincia italiana) alla vista dei padri putativi e hanno scoperto l’avant e tutto il resto. Coniano quindi una forma di artigianato musicale che vince nell’intento di re-interpretare regole ed alchimie difficilmente ripetibili. Non è un caso che riescono a non soccombere a un mercato (vero o presunto tale) che fagocita in quantità usi e costumi di facile consumo, che invece i nostri evitano abilmente. Qui ci sono solo le canzoni, ed una passione sconsiderata per la musica tutta, doti non comuni. Diremmo più prosaicamente che si sono fatti il mazzo, proseguono per la loro strada nella speranza di ricavare anche qualche soddisfazione commerciale che, arrivati a questo punto, si meriterebbero a prescindere. Nel frattempo cercateli, vi assicuriamo che non ve ne pentirete.