DURAN DURAN DURAN, Ed Flis
Non ho avuto modo di approfondire a sufficienza, ma non mi pare che in Italia si sia parlato molto di Ed Flis (Duran Duran Duran), americano di stanza a Berlino. Il suo ultimo album (assolutamente valido), uscito da pochissimo e intitolato (si dovrebbe sentire uno di quei colpi di tosse di circostanza) Duran, è andato sold out alla fonte in poche ore, merito probabilmente della buona reputazione acquisita negli anni e di come Flis padroneggia il breakcore e i generi ad esso limitrofi. Come tutta la gente che suona questo tipo di cose, si tratta – nel caso non lo abbiate capito dalle foto – di un pazzo sempre molto eccessivo, che però ha risposto alle domande in modo gentile e soprattutto chiaro.
Che ci puoi raccontare dei tuoi ultimi sette anni musicali? Il full length precedente a questo di adesso risale al 2010.
Ed Flis: Sì! Pazzesco pensare che sia passato così tanto tempo. Beh, non ho mai smesso di fare musica, ma ovviamente l’industria è cambiata un po’ negli ultimi sette anni. A un dato momento ho finito di preoccuparmi troppo di pubblicare, credo che in qualche modo questo mi abbia aiutato a sperimentare con stili differenti, e sarebbe stato impossibile se al contrario fossi stato sempre preoccupato dell’etichetta o del pubblico. La passione, comunque, non l’ho persa, e sento che la musica è un’area della mia vita in cui miglioro e imparo di continuo.
Le copie del nuovo album di Duran Duran Duran disponibili sul Bandcamp dell’etichetta Power Vacuum sono finite sold out in un giorno. Hai una tua “fan base”? Sei in contatto con i tuoi ascoltatori? Scambi idee con loro?
Eh sì, ero stupito quando l’ho saputo. Quando ne ho parlato con Milo (Power Vacuum), lui ha detto “sì! Tutte e sette le copie che avevamo!”, quindi il successo è sempre molto relativo, suppongo. Non ho vere statistiche, ma pare che oggigiorno vendere 300 copie sia da disco d’oro, anche per i grossi del giro house o techno coi quali ho parlato.
Qualche fan base di Duran Duran Duran deve esistere, nonostante dopo tutto questo tempo è ancora difficile per me accettare che a qualcuno piaccia sul serio la mia musica.
Suppongo che potrei rimanere meglio in contatto coi miei piccoli Durannies, con newsletter e cose così. Cerco di rimanere attivo in qualche modo sui social media, sempre nel mio modo strano, ma sono abbastanza scarso a questo gioco. Cerco di rispondere a ogni messaggio e in generale di essere aperto e amichevole, ma d’altro canto credo ci debba essere un po’ di mistero. Preferisco sempre incontrare le persone una ad una e avere un drink, sul serio. Nel mio profondo sono estremamente grato a chiunque sia mai venuto a un mio show o abbia dato anche solo una mezza chance alla mia musica.
L’immagine di copertina di Duran mi fa male. Mi fa pensare a David Cronenberg o a “La Cosa” di Carpenter. È anche completamente diversa dai tuoi artwork precedenti, almeno da un punto di vista tecnico. Come ha preso forma?
Mi rende estremamente felice sentirlo, perché noi stavamo cercando davvero quel tiro da horror anni Ottanta, inoltre questo vuol dire che tu hai perso del tempo per guardare anche gli artwork dei miei altri dischi! Volevo realizzare qualcosa di diverso per questo album, ma sempre molto colorato e che desse nell’occhio. Penso sia venuto molto bene e devo ringraziare molto i ragazzi di Broken Tools per avergli dato forma basandosi sulle mie molte email. È l’esito del far passare foto di pezzi di carne attraverso una specie di filtro matematico. Abbiamo preso l’idea da un breve video teaser che avevano fatto per una traccia sull’ultima compilation della Power Vacuum, chiamata Drap Jam, e che vedeva forme di palazzi uscire da bistecche crude. La mia idea iniziale era proprio di usare solo un’immagine di quel video, ma loro l’hanno presa e sviluppata. L’album è molto percussivo, di base senza melodie se non proprio forse qualche linea acid, e penso che l’artwork rifletta la sensazione di organico che danno i ritmi, nonostante i suoni di cassa siano spesso molto digitali e meccanici.
Associo progetti come il tuo a concetti come “eclettismo”, “postmoderno”, “pastiche”. Eclettismo, soprattutto. Quindi è sempre difficile per me capire da dove gente come te provenga, musicalmente parlando. Potrebbe essere death metal, potrebbe essere techno… Come hai iniziato a fare musica?
Beh, alla fine veniamo tutti dallo stesso posto! Ma io sono cresciuto ascoltando glam rock e metal. Da ragazzo ero sempre affascinato da come la musica poteva proprio cambiare molto velocemente il modo in cui ti sentivi. Suppongo che sono finito ad ascoltare rap e techno intorno ai 15/16 anni. Più o meno in quello stesso periodo ho iniziato a suonare la chitarra e pasticciare col computer per fare musica. Mettevo il beatbox di un amico nel computer e poi cambiavo i suoni intorno oppure aggiungevo effetti.
Quando la gente pensa a musica o a dischi come i tuoi, di solito si aspetta broken beats… ritmi non lineari… ma tu includi anche roba dritta nelle tuo tracce (hardcore techno, gabber…). Perché? Semplicemente ti piacciono? È un modo per essere più imprevedibile? Entrambe le cose?
Ciò per cui più mi sbatto è fare musica che mandi fuori di testa la gente e la faccia ballare, ma che sia anche interessante solo all’ascolto. È legale a questo gioco utilizzare qualsiasi tipo di ritmo che mi permetta di ottenere il risultato. Ovviamente il 4/4 vedrà più gente ballare e avrà più chance di funzionare con un sound system di merda, ma potrà anche davvero annoiare all’ascolto. D’altro canto, breakbeats ottenuti con un DSP e micro-editati possono far impazzire la gente come suonare sul serio masturbatori e autoindulgenti. Quando mi siedo per scrivere un pezzo non ho un piano in testa, in qualche modo lascio che sia la traccia a decidere dove andare.
Come ho appena detto, sei un maestro nel creare ritmi diversi e accattivanti. Ascolto il tuo disco e non riesco a capire come fai a seguire pattern ogni volta differenti. Hai mai provato ad assemblare un album ambient? Potrebbe essere la trasgressione definitiva…
Ha! Forse è vero. Ho realizzato un po’ di roba vaporwave, che è abbastanza vicina ma non è davvero ambient, qualunque cosa ambient significhi. La cosa che più mi interessa del processo del fare musica è l’editing: ascolto tanta ambient music, ma non mi interessa farla perché c’è poco editing. Forse cambierò idea. Mi piacerebbe ad esempio occuparmi dello score di un film.
Di nuovo, quando la gente pensa a musica o a dischi come i tuoi, si aspetta un grosso quantitativo di ironia e divertimento. Tu li rendi di sicuro felici, anche con le tue foto. Altre persone, invece, hanno bisogno di ascoltare musica deprimente e triste: per loro è qualcosa di catartico. Comprendi quest’ultimo tipo di approccio alla musica, sia come producer, sia come ascoltatore?
Ascolto tonnellate di musica deprimente e sono depresso di frequente, dunque posso proprio capire questo approccio! Per dirti la verità tendo a pensare alla mia musica come a qualcosa di molto dark e che non sia solo quel mashup ironico e divertente che le persone probabilmente associano a un progetto che si chiama Duran Duran Duran. Mi piace ovviamente fare un po’ di commedia, ma penso che i temi più dark risuonino più in profondità nella gente e aiutino un pezzo a sopravvivere a ripetuti ascolti.
Mi spiace, ma non ti ho mai visto dal vivo. Che c’è scritto sul tuo tech rider? Utilizzi visuals? Appari anche come dj ad alcuni eventi? Quali sono i tuoi piani per i live, ora che hai un album in circolazione?
Il mio setup tecnico generalmente è limitato da quanto spazio ho on stage o nella mia borsa. È quello che ti aspetti, sul serio: laptop con un paio di synth e midi controllers. Quando ero più giovane facevo cose più pazze tipo denudarmi e spalmarmi burro di arachidi dappertutto. Guardo molti film, quindi mi piace avere visuals quando si può. Non faccio il dj più di tanto ormai, dato che tutti i vinili di casa mia a Filadelfia sono stati rubati, ma tuttora mi diverte fare dei mix. Piani futuri? Adesso come sempre suonerò ovunque mi prendano!