Customize Consent Preferences

We use cookies to help you navigate efficiently and perform certain functions. You will find detailed information about all cookies under each consent category below.

The cookies that are categorized as "Necessary" are stored on your browser as they are essential for enabling the basic functionalities of the site. ... 

Always Active

Necessary cookies are required to enable the basic features of this site, such as providing secure log-in or adjusting your consent preferences. These cookies do not store any personally identifiable data.

No cookies to display.

Functional cookies help perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collecting feedback, and other third-party features.

No cookies to display.

Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics such as the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.

No cookies to display.

Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.

No cookies to display.

Advertisement cookies are used to provide visitors with customized advertisements based on the pages you visited previously and to analyze the effectiveness of the ad campaigns.

No cookies to display.

Due ep dalla frontiera: Santa Muerte e Coast2c

Per quanto spesso vengano utilizzati come sinonimi nella lingua italiana, confine e frontiera hanno significati differenti, se non addirittura opposti: il confine, infatti, è quella linea che separa due stati, è una cesura e stabilisce, spesso senza possibilità di discussione, chi o cosa appartiene a un determinato territorio. La frontiera invece è uno spazio, certo adiacente al confine, ma meno definito e, soprattutto, continuamente rinegoziabile: è quella fascia in cui persone e merci si muovono, si nascondono o si accalcano, proprio come sta accadendo tra Messico e Stati Uniti. E proprio dai territori separati da quel confine, che per lunghi tratti coincide con il Rio Grande, arrivano due proposte di musica elettronica capaci di riflettere tanto sullo stato dell’arte quanto sul valore delle differenze e della contaminazione.


Santa Muerte, divinità precolombiana traslata nella tradizione cattolica in protettrice degli ultimi e dei diseredati, è il progetto di Panch Briones (dopo l’abbandono del sodale Sines, titolare a tempo pieno della label Majia), originario del Messico ma stabilitosi ora a Houston, ed è tra i più recenti innesti del roster Hyperdub, etichetta discografica che da sempre s’interroga sul valore e sul significato della frontiera, arrivando quasi a immaginare le strade della capitale inglese, Londra, come l’ennesimo spazio geografico dove le popolazioni caraibiche diasporiche continuamente contrattano un’identità mutevole e ibrida. Il nuovo ep di Briones, Eslabón, si articola lungo quattro tracce per neanche quindici minuti totali, ma già l’iniziale “Tonatzin” certifica l’ottima scelta di Hyperdub: il brano è infatti una miscela marziale e irresistibile di bass-music, sfrontatezza hip-hop e influenze tex-mex. La successiva “Coahuiltecan” mantiene alto il coefficiente di eclettismo, ibridando accelerazioni UK-funky, sentori chopped & screwed e synth paranoidi, mentre la breve e atmosferica “Emma” funge quasi da preludio, post-industriale e apocalittico, alla conclusiva “Laberinto” che, come suggerisce il titolo stesso, nella miglior tradizione british fa smarrire l’ascoltatore in un susseguirsi di percussioni sincopate, sorprendendolo poi con improvvise aperture che guardano invece ai deserti del Messico.

Guarda invece alle poliritmie dell’Africa l’altro ep che vi segnaliamo: Machine Music, Human Dance della producer Coast2c, al secolo Sofia Acosta, originaria di Città del Messico, dove è recentemente tornata a vivere dopo un’esperienza negli States. Apre le danze, letteralmente, la title-track, monumentale e tenebroso esercizio post-techno affascinato, già a partire dal titolo, dai ritmi mutanti e inafferrabili della contemporanea Africa elettronica; il remix dell’americana Carly Barton ne dà un’interpretazione più soffusa e cibernetica, ma altrettanto fascinosa. La più essenziale “Polymorphism” è un’intrigante e intricata celebrazione modulare che sembra guardare alla scuola elettronica più europea, confermando così che nessun confine, fortunatamente, può bloccare musiche e idee.