Due dischi per la Zen Hex Records: Rotadefero e Gianni Giublena Rosacroce
La toscana Zen Hex torna con un paio di sette pollici, dopo aver pubblicato gli Hartal e i Father Murphy. E un’etichetta giovane, ma sta incominciando a farsi rispettare, i dischi di cui vi parlerò lo dimostrano. Il primo è a nome Rotadefero, cioè la nuova reincarnazione di Cristiano D’Innocenti e Tommaso Garavini (erano nei seminali Concrete, rispettatissima band punk-hardcore romana), il secondo un nuovo capitolo dell’oscura saga di Gianni Giublena Rosacroce (cioè Stefano Isaia de La Piramide Di Sangue). I primi se ne escono con due pezzi articolati e particolarmente violenti registrati dal vivo, “Nord” è tutta rumori sinistri e percussioni potentissime manco stessimo ad ascoltare dei Test Department più marci; “Sud” prosegue sulla stessa, metallica scia, tra vorticose trapanate nei muri e oggetti pesanti che cadono rovinosamente a terra, insomma la loro è una sorta di cattivissima sinfonia che non fa prigionieri. Avant-impro-industrial di grana grossa, se proprio devo stare a fare il giochetto delle definizioni, ma efficace e ottundente. Maneggiare con cura.
Rosacroce questa volta decide di dedicare un paio di pezzi al poeta espressionista austriaco Georg Trakl, morto per overdose di cocaina a soli 27 anni, figura controversa e decadente degli inizi del Novecento. “Crepuscolo” si appoggia sul solito clarinetto, che si anima malinconico tra una base di percussioni leggere e poco altro, mentre “Declino” è più mesmerica e d’atmosfera, pare quasi di ascoltare un Morricone perso tra fumerie d’oppio e cristallerie polverose. Prova sempre efficace per il piemontese, che zitto zitto aggiunge un altro tassello a quella che pare una particolare rilettura contemporanea del folk, solo più inacidito del solito e come suonato al buio, mentre il mondo scorre inesorabile e la voglia di averci a che fare è pari a zero. Ossessivo e malinconico.