Due dischi Editions Mego: Shit & Shine e UUUU
Doppietta di dischi su Editions Mego: inspiegabilmente, miracolosamente bene in un caso, prescindibilissimo nell’altro.
SHIT AND SHINE, Some People Really Know How To Live
Alcune persone sanno per davvero come trovare la bellezza anche nelle discariche, come trovare cose preziose anche nelle carcasse di metallo, nella plastica bruciacchiata, nei fili strappati. Questa è la prima impressione che dà l’ascolto del nuovo disco di Shit & Shine, che apre con “Behind You Back”, una convincente esplorazione in lidi abstract-techno fatta di poco e nulla, ma efficace e conturbante nel suo avvolgerci tra spire di synth, batterie elettroniche sdentate, voci trovate, cose sonore. Con “Dish Dish” ci si spinge in territori più immediatamente dance, ma è un ritmo marcio quello che batte qui, ed il pezzo pare più adatto ad una colazione psichedelica tra i mutoidi che a una serata in discoteca, a meno che il locale in questione non sia frequentato da brutti ceffi in meth (non so perché, ma qualcosa mi ha fatto pensare a Breaking Bad). Il ritmo a un certo punto viene travolto da nevrosi noise, poi riparte come se provenisse da una scatola: ci sono delle ruspe in azione che spostano i materiali e staccano i cavi, ma questi aggeggi da robivecchi sono duri a morire e – anche se sfibrati dal troppo uso – continuano a pulsare di vita propria. Una vita che assume surreali forme hip hop nella stranita, straniante e molto riuscita “Lil Wannabe Gangsta”, come un clash tra un classico flow rap nero e un disastro avant-electro: non siamo troppo lontani da certe cose di AntiPop Consortium, pur partendo da presupposti completamente diversi. Un Burial più rozzo e cattivo, con inserti da film di serie B è invece quello di “Raining Horses”. “South Padre Low Life” gira ossessiva e zoppa attorno a una nota, memore della lezione dei Suicide, per poi devolvere in una minima costruzione di nuovo fatta di nuovo di niente, se non di interferenze e ritmo ancora una volta biascicato e suoni marci, sporchi. Efficacissima nel suo essere volutamente ignorante ed intimamente punk. Qualche synth parte un po’ a cazzo, ma fa lo stesso, l’economia (in default) del brano non ne risente. Poi, come in tutto il disco, a un bel momento finisce tutto, all’improvviso, senza una spiegazione, un senso, una direzione. E sta proprio lì il bello della faccenda. “Notified” e “Man Bunny”, invece, spacciano un breakbeat sfatto, ossessivo e macilento, “Blick Von Der Berg” ipotizza dei Matmos virati hip-hop, “Girls Close Your Eye” un Aphex straccione e dub. Poi a chiudere il disco ci pensa “Crocodile”, cruda e minacciosa, anche questa fatta di poco e niente, a confermare i toni uniformi di grigio che caratterizzano un lavoro enigmatico e a un passo dall’assurdo, monocromo, monotono, a suo modo mistico e disastrato, cocciutamente povero. Poca speranza, poca luce in queste che a volte si fa anche fatica a definire musiche e sembrano più oggetti trovati nella spazzatura. Ma in un qualche ineffabile, indefinibile modo, anche in mezzo a questi scarti si trova lo splendore.
UUUU, S/t
Prevale invece lo sbadiglio con UUUU, un quartetto con musicisti coinvolti in progetti come Coil, Spiritualized e Wire: libere esplorazioni nel rumore (“The Latent Black Path Of Summons Served”) che sanno di free rock e d’improvvisazione, drone che salgono al cielo e staccano inni agli dei della diaspora (“Partial Response Takes Another Form”), pomp rock che ben presto cede allo sfacelo totale (“Five Gates”) e dura decisamente troppo (16 minuti senza avere granché da dire); “Boots With Wings”, dal canto suo, non va da nessuna parte ma almeno ha il pregio relativo di durare poco, e lo stesso vale per “It’s Going All Over The Floor”, che sciorina un vocabolario più raffinato (spezie che sanno di reggae a base di eroina più che di marijuana), pur senza centrare il bersaglio.
È “The Princess Anne Love Cassette” che sveglia l’attenzione: orizzontale e scura, fino a quando, una volta giunti quasi sul finale, vira su una techno un po’ banalotta e con suoni dozzinali. Chiude un programma francamente dimenticabile “Il Ventre Del Nulla”, come da scuola O’Malley fuori tempo massimo, per qualcosa che si perderà nel mare magnum delle mille uscite del frastuono odierno.