Due dischi Cryo Chamber: Caldon Glover e Tineidae & Sole Massif
C’è chi usa “dark ambient”, io qui scriverei “library music per gamer (video o role-playing, o entrambi), serie tv e cinematografia di genere horror, fantasy e fantascienza”. Passioni importanti per qualcuno, qualcuno per cui Cryo Chamber crea continuamente nuovi abiti. Caldon Glover, uno che è passato per tutte le declinazioni possibili di queste soundtrack (su Cryo Chamber, ma anche su Cyclic Law, due veri e propri bastioni), prova a partire da Lustmord per creare un suo mondo situato in un futuro-presente o in un presente-futuro in cui la natura, magari attraverso la cosa meno umana di sempre (gli insetti) si re-impadronisce degli spazi che l’uomo le ha tolto, uno sfondo concettuale non nuovo, ma non troppo abusato, davanti al quale far interagire cibernetico e ancestrale: i bassi (e i respiri) profondi ci sono, né manca qualche melodia vangelisiana di synth, così come qualche suono più meccanico ed elettrico/elettronico, a rappresentare ciò che non è organico, ciò che deriva dal freddo ingegno della civiltà. Materiale buono anche per un prossimo “Alien”: difficile non immaginarsi un pianeta distrutto dagli xenomorfi, in cui la vegetazione si mangia l’acciaio e qualcosa si muove di nascosto in attesa del momento buono per mangiarci.
Molto divertente – in un contesto dove nessuno usa mai senza imbarazzo la parola “divertimento” – la collaborazione tra Tineidae e Sole Massif (due producer esteuropei di cui non so nulla), che ai ferri del mestiere di casa Cryo Chamber aggiungono una buona dose di synth analogici, come se fossimo in un disco synthwave degno del miglior Perturbator, ma privo di tutti i ganci del genere (non si balla, qui, anche è indubbio che ci sia molto dinamismo rispetto alla media). Lo storia che fa sfondo al disco? A me sembra di capire che si tratti del momento in cui Skynet sta per sopraffare gli umani: noi ci troviamo in qualche situazione di guerra, mentre ci avviciniamo al nemico. Tutto molto più d’intrattenimento e di facile ascolto, perché oltre agli abissi aperti dalle basse frequenze ci sono tanti neon, tanti lampi di luce e melodie semplici ma valide: solo per fare un paio di esempi (quasi tirando a sorte, perché l’album regge dall’inizio alla fine), non mi stupirei se – mentre scorre “Data Stream Conjunction” – qualcuno cercasse sul telefono qualche tasto da schiacciare per fare fuoco, così come non batterei ciglio a risentire in qualche trailer la title-track, magari proprio di qualche “Terminator”. Speriamo ne facciano ancora altri (di dischi, non di “Terminator”).