DRYAD, The Abyssal Plain
Se parti dagli Emperor non sbagli mai. Oggi come oggi nessuno si sogna di fare roba troppo prog, soprattutto e come sempre nell’underground estremo, dunque, dicevo, se parti dagli Emperor, in questo momento suoni In The Nightside Eclipse, magari con meno tastiere, più concisione e più Discharge. Questi sono i Dryad, ma non ho finito. Sono sicuro che tutti noteranno lo screaming disumano della cantante, quasi da cartone animato, sarà anche perché la copertina naif, fumettosa di The Abyssal Plain lascia pensare a un gruppo che anzitutto gioca, pure quando immagina testi che parlano di quegli animali primitivi (appunto), orrendi (appunto) e ciechi che vivono sott’acqua a grandi profondità, che conducono una vita (?) non poi così distante da quella che secondo i luoghi comuni fa chi ascolta black metal. Secondo me, ad esempio, se ne avesse la possibilità, uno come Xasthur andrebbe a stare in qualche fossa delle marianne, al buio, nutrendosi di chissà cosa cazzo, finalmente davvero isolato e irraggiungibile. Va aggiunto, a riprova che i quattro Dryad devono frequentare più gli squat che i corsi di chitarra, che in un paio di occasioni è evidente anche un sottotesto ecologista. Gira infine un falsissimo e terrificante luogo comunque, cioè che in questo disco ci sarebbero degli intermezzi carpenteriani, perché ormai, dopo che John Carpenter – non pago di essere un regista enorme – ha stracciato tutti con due o tre album-bomba, ogni volta che in un disco c’è un synth un po’ pauroso, ecco che è carpenteriano. Peccato che secondo me qui c’entra più Conrad Schnitzler all’inizio di Deathcrush dei Mayhem, se proprio vogliamo trovare dei precedenti.
Consigliato a chi ascolta black metal old school, ma che paradossalmente ogni tanto vorrebbe non sentire o vedere proprio tutti, ma tutti i cliché del genere, ma anche qualcos’altro.