DRUNK DAD, Morbid Reality
Merdosissimi come un padre ubriaco in casa, i Drunk Dad ricominciano dagli anni Novanta e propongono un mix di sludge, noiserock, grunge e – ma proprio un qualcosina – stoner: di tutto questo gli otto minuti di “Guts”, messa all’inizio, sono un buon bignami. Come se non bastasse, si cimentano (seppur brevemente e senza derive radical chic) anche con il drone, qui scabro come non mai. Sbagliatissimo non parlare anche del cantante, un uomo a pezzi e dalla voce scorticata, che non perde mai un colpo su disco, ma fa subito pensare a come debba essere dura tenere botta dal vivo adottando così a lungo uno stile simile. Ci sono solo quattro brani, ma la curiosità che innescano è tanta, dato che non c’è un minuto noioso su sedici.
P.S.: sono di Portland (Oregon). La loro etichetta, di Portland (Oregon), pubblica anche i Rabbits di Portland (Oregon). Non è un caso.