DRUDKH, Їм Часто Сниться Капіж (They Often See Dreams About The Spring)
Con quindici anni di carriera e ben undici album alle spalle, i Drudkh sono senza dubbio la realtà metal più sostanziale dell’Ucraina e una delle band più importanti dell’Est Europa. Il loro modo di rileggere Burzum secondo la loro tradizione all’inizio poteva sembrare un classico cliché, una tappa scontata nel percorso di una band emergente; invece, in mezzo alle miriadi di formazioni “depressive-suicidal black metal” che andavano di moda all’epoca, ritradussero Vikernes in modo sì analogo agli altri, ma con testi nella loro lingua madre (tratti anche da poesie ucraine del Diciannovesimo Secolo) e artwork che riproducevano dipinti e manufatti del loro Paese. Era anche il momento in cui cresceva la scena NSBM; proprio i gruppi loro connazionali e quelli polacchi erano i più infoiati e avevano il supporto di etichette storiche come la No Colours Records o la Oriana Music. Dopo pochi anni, però, molti di questi si sarebbero rivelati dei fuochi di paglia, mentre altri avrebbero continuato a far uscire album restando nell’ombra, penalizzati dal contenuto del loro messaggio e dalla ripetitività, per questo poi esclusi dalle nuove etichette medio-grandi che stavano nascendo, interessate ad altri linguaggi. Nokturnal Mortum, Hate Forest o Astrofaes non hanno però bisogno di presentazioni per chi frequenta l’underground da anni e vede del buono nella loro musica, pur se affiancata – ahimè – da tonnellate di scempi visivi. I Drudkh sono collegati a queste band, dato che alcuni di loro ne sono stati parte, ma sin da subito hanno dichiarato di non essere politicizzati. Eppure la Supernal Music, la prima etichetta a pubblicarli, era piuttosto affiliata al NSBM… comunque, grazie alla perseveranza, al passare degli anni e soprattutto all’altissima qualità discografica, e nonostante tutti i (legittimi?) pregiudizi, si sono fatti sempre più strada, approdando alla Season Of Mist e ingentilendo le loro sonorità, molto più eteree, trasognanti e semi-acustiche, e strizzando l’occhio a nomi che univano la violenza sonora all’immensa ammirazione per la natura: Agalloch, Negură Bunget, Wolves In The Throne Room, ma soprattutto gli Alcest. E così, nel giro un altro paio di album, sono stati inclusi in quel filone di black metal contaminato dal post-rock e dall’ethereal-wave, senza poi essersi mai davvero discostati dall’onnipresente Burzum. Con Eternal Turn Of The Wheel abbiamo assistito a un piccolo passo all’indietro, una sorta di ritorno all’origine: dalle atmosfere tipicamente in stile Filosofem o Summoning i Drudkh si sono spostati all’interno di una dimensione ben più violenta, priva di synth o chitarre acustiche, senza però mai disdegnare l’amore per le melodie.
They Often See Dreams About The Spring contiene un messaggio di luce e speranza che si può udire in fondo a riff corposi e malinconici lungo tutto il corso dell’album. Le pesanti costruzioni delle due chitarre sono sempre votate all’orecchiabilità e profondamente in contrasto col massiccio uso del tremolo, dei blast-beat, della doppia cassa e con le urla di Thorius. Diverse sono le citazioni del black metal norvegese di metà anni Novanta: spesso sembra di essere di fronte allo spettro di Jesus Tod o di Panzerfaust tanto sono monumentali e sublimi le armonie che emergono dai brani, come in “У Дахів Іржавім Колоссю…”, caratterizzato da lunghi e continui gorghi che pian piano mutano e differiscono l’uno dall’altro; maestosità e melanconia vanno a braccetto in cerchio, lentamente come il susseguirsi delle stagioni, per poi tornare al punto di partenza.
“Вечірній Смерк Окутує Кімнати…” è in pratica un brano indie-rock mascherato con stilemi black metal, mentre “За Зорею, Що Стрілою Сяє…” si lega formalmente alla seconda traccia, prediligendo di nuovo le note più alte e orecchiabili, alternando arpeggi a plettrate più black. Imponente e violenta è invece la conclusione: una versione personale di “Hvis Lyset Tar Oss”, massacrata, in senso buono, dai piatti della batteria e dai momenti più ferali di tutto l’album.