DRONNY DARKO, Neuroplasticity
Per neuroplasticità si intende la capacità del cervello umano di modificare la propria forma in relazione alle esperienze: dal nuovo album di Dronny Darko ci aspetteremmo quindi legittimamente un catalogo di suoni estremamente variegato o, quantomeno, una buona stratificazione sonora.
Oleg Puzan non è nuovo a dischi ambiziosi dal punto di vista concettuale: il precedente lavoro, realizzato in coppia con ProtoU, ripercorreva la storia della Terra dal Big Bang ad un’ipotetica fuga dal pianeta. Questa volta, invece, l’ucraino si avventura nel non agevole campo delle neuroscienze: Neuroplasticity si discosta notevolmente dal resto delle recenti uscite della Cryo Chamber di Simon Heath (Atrium Carceri, Sabled Sun) per via delle sue sonorità scabre, che lo collocano al di fuori del recinto di quel dark ambient “cinematico”, specialità dell’etichetta. La musica di Dronny Darko è qui più statica che dinamica: l’unico movimento che lascia intuire è quello di macchine fuori controllo, crepitanti, preda di ruggine e consunzione. L’inizio lunatico, un’aritmia di suoni legnosi, si dissolve presto in un saliscendi di basse frequenze spazzato da un vento rovente: sembra di trovarsi nel mezzo di un paesaggio postatomico. Il resto è tutto giocato sul tema dell’elettricità: scariche elettrostatiche in quantità, accompagnate da pulsazioni bradicardiache, rimestare incessante di liquidi infetti, glitch, armonie appena percepibili. Il tema del disco appare, anche dopo più ascolti, leggermente fuori fuoco: pochi picchi emozionali e un andamento sostanzialmente uniforme che non lascia spazio a quella mutevolezza di cui il titolo sembra essere foriero.