DRAB MAJESTY, An Object In Motion
I Drab Majesty sono il batterista dei Marriages (la prima band di Emma Ruth Rundle, per capirci) che pubblica brutte b-side dei Cure indossando una parrucca da Raffaella Carrà e occhiali alla Max Headroom. In questo è coadiuvato da tale Alex Nicolaou. Anche un orologio fermo, però, due volte al giorno segna l’ora esatta, quella evidentemente di An Object In Motion: apertura (“Vanity”) acchiappafessi con Rachel Goswell degli Slowdive, un lentazzo ruffiano e gonfio che a seconda dell’umore può essere respingente oppure meraviglioso (c’è anche Ben Greenberg degli Uniform al basso), poi accade il miracolo, con due strumentali che erano nella mente di Robert Smith nel periodo Seventeen Seconds-Faith-Pornography senza che lui lo sapesse, più un’altra incursione nello shoegaze (“The Skin And The Glove”). Davvero eccelse le due senza voce, che sono levigate, essenziali e basate su quella re-iterazione di una stessa figura che probabilmente il post-punk aveva assorbito dal kraut, tanto che qualcuno per questo ep ha tirato in ballo anche la leggenda Durutti Column: “Cape Perpetua” è per certo quella più sognante e luminosa, mentre “Yield To Force” (con Randall Dunn ai synth vaporosissimi) è quella che nasconde l’abisso sotto i riverberi, e si prende pure un quarto d’ora per sé, infatti sul vinile sta da sola sul lato B. Due capolavori minori da mettere all’inizio o alla fine di ogni dj set goth del 2023.