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DOVS, Psychic Geography

Non sembrano le mura di Verona quelle ritratte sul nuovo album dei DOVS (a dispetto della loro prima traccia), bensì quelle di un vero e proprio miraggio, dove il suono sembra farsi colore, avvolgendoci in maniera sinestetica.

Gabo Barranco e Johannes Auvinen viaggiano lungo un percorso ben segnato, ma insidioso e difficile da affrontare, dove prima di loro ha camminato Kieran Hebden per cui Thomas Morr ha funto da guida per un lungo periodo. Le due colombe, però, volano libere, offrendoci una confortevole riduzione di un suono acido e psichedelico. Difficile capire come tutto sia iniziato, come un musicista messicano e uno austriaco abbiano potuto incontrarsi e ritrovarsi ora su Balmat, etichetta catalana con propaggini baleariche, a Minorca. Di certo non poteva esserci casa migliore per questi nove brani, spesso miniature programmatiche di un dancefloor (“Frames”m, ad esempio) che fungono da oasi in un viaggio ricco e delicato, senza troppi incroci con l’umanità.

“Ancient Rivers” è acqua che resiste e vince la roccia, placida ma continua nel tempo, forse il brano più terapeutico del lotto, toccante, che unisce spunti dance a visioni che si avvicinano parecchio a certi compositori italiani degli anni Settanta. Tutto è gestito con un grandissimo senso del gusto, lontanissimo dal marasma che a ondate ha cercato di unire ballo e psichedelia. Già, perché Psychic Geography è variegato, ma anche posto in un alveo nutriente e ben delimitato dalle mani di Johannes e Gabo. Aria, psiche, ballo, corpo, unione tra esseri e i loro movimenti, interiori ed esteriori. “Rumi Nation” è un quieto pascolo che serve a raccogliere le forze, mentre “Rooftop Blues” sembra cristallizzare le note in un’alcova notturna con vista sul cielo. Ciascuna è la tappa di un percorso che volge al termine, ma che potrebbe facilmente continuare all’infinito, come un moto perpetuo o come perdersi dentro sé.