DOR, In Circle
In Circle, ispirato a “Manoscritto trovato a Saragozza”, unico romanzo dello scrittore polacco Jan Potocki, vede la luce il 19 maggio di quest’anno, ed è la terza uscita di Dor, progetto nato nel 2019 dalla mente del chitarrista e cantante Francesco Fioretti, che si è in questo caso avvalso della collaborazione di Mario Di Battista (seconda voce e basso, già in Ulan Bator e La Mala Sementa), Alessandro Vagnoni (chitarra e synth, già in Bologna Violenta) e Gabriele Uccello (batteria e fisarmonica, già in Affluente). Altri ospiti speciali sono Paolo Raineri (Ottone Pesante) alle trombe, Bruno Germano (Arto) al wurlitzer e Sergio Pomante al sax. Il risultato è un lavoro imponente, coraggioso se non addirittura audace, dove la musica klezmer ed esteuropea incontra il post-rock per una commistione decisamente unica: voci delicate, ipnotiche come le ritmiche che le accompagnano e le guidano, raccontano una sorta di mondo onirico in cui, come durante la lettura di un romanzo, è facile immaginare sé stessi e l’ambiente descritto in modo personale e personalizzato. La componente folk dà al tutto un’aura mistica, occulta, da rituale pagano, per intenderci, senza però scadere in soluzioni banali, inutilmente pompose o già sentite: prendiamo per esempio “The Grave”, dove l’intreccio di chitarre, percussioni, voci e basso, assieme al titolo, parecchio evocativo, fa pensare a quei funerali un po’ festaioli così lontani dalla nostra cultura e indubbiamente affascinanti proprio perché esotici e liberatori, o alla profonda malinconia di “Gomelez”, quasi una marcia funebre. Sarebbe facile etichettare In Circle come “folk apocalittico”, ma anche riduttivo, poiché siamo di fronte a un album complesso e ricco dal punto di vista della composizione, influenzato da diversi generi e sottogeneri. Questo non significa però che sia dispersivo, e in tal senso il titolo rappresenta e riflette accuratamente la ripetitività, qui intesa come punto a favore e come elemento che offre stabilità e sicurezza a chi ascolta, anche se non c’è nulla qui di facile o banale. C’è invece un senso di “casa”, una familiarità che travalica la musica in sé, e che rende In Circle un’esperienza sensoriale completa. Ne consiglio l’ascolto soprattutto a chi è in cerca di qualcosa di nuovo e insolito, “di classe” ma non pretenzioso: non è da tutti e non è per tutti, e lascia spazio all’immaginazione, come l’enigmatico brano in chiusura, “El Fin”, tanto magico quanto splendidamente criptico.