DONATO EPIRO, Fiume Nero (+ full album stream)
Quando si ascoltano i Cannibal Movie, vengono in mente film truculenti e atmosfere tese e claustrofobiche (ma a pensarci bene non è proprio solo cosi). Il lavoro solista di Donato Epiro devia verso una strada ancora più oscura, quella che porta dritta verso un’immaginaria foresta mentale dove ci si può aspettare di tutto. Fiume Nero è uscita che seleziona tra i pezzi di qualche tempo fa del musicista pugliese (che ha pubblicato a suo nome prima che il duo di Avorio facesse il proprio debutto) e che trova nuova forma grazie alla Black Moss, etichetta dietro alla quale troviamo anche Andrea Penso (Selaxon Lutberg), che stampa in vinile e in tiratura limitata a trecento copie.
L’incipit è per la title-track, ed è subito stordimento, con percussioni battenti che disturbano (quasi una “chiamata alle armi”) e con finale silenzioso. Fa da contraltare l’ammaliante “Naja Nigricollis”, che sembra davvero rappresentare in musica una situazione, quella cioè del serpente nero che cerca in tutti i modi di avvicinarsi alla preda, con Epiro che suona il flauto per ammansirlo (ci vedrei bene un remix che ne esalti la sottile vena dance). Prima s’era passati attraverso il crescendo industrial-dub de “La Vita Acquatica”, dove le ritmiche spossanti dominavano, poi chiude il primo lato “Alocasia”, forse una delle preferite del sottoscritto. Anche qui atmosfere thrilling e continuo senso di angoscia vanno a braccetto, tra sibili animaleschi e malcelate ascendenze tribali e dark (l’uso dei synth e del campionamento sotto forma di trasfigurato cut up).
Il lato B si apre con la lunga “Tucano”, e qui la tavolozza si riempie di colori ancora più esotici e di afrori orientali che esprimono in maniera netta il senso del viaggio, con strumenti a percussione (ancora) campionati e lento battito ritmico. “Estuario” è, come si evince dal titolo, approdo al mare da un unico canale, probabile metafora del perdersi definitivo, tra sorde scudisciate sulle orecchie e lo sguardo atterrito per il trauma provocato dalla lunga traversata. La finale “Un Globo Rosso Rotondo” assume un ipotetico ruolo di straniti titoli di coda (è in sostanza quasi una summa dei suoni più disparati presenti nel disco): il pezzo si anima come all’improvviso e le voci in lontananza sono spettri inquietanti. L’atmosfera generale è da library music rivisitata e dopata a dovere. Donato Epiro sembra dunque assumere un ruolo da “rabdomante sonoro” (insieme ai Mamuthones è uno degli iniziatori veri di quella che adesso chiamano “italian occult psychedelia”), sempre alla ricerca della misteriosa parte arcaica che è in noi, e Fiume Nero è opera che traghetta l’ascoltatore verso quel mare che è pronto a vederci soccombere.