DISCOMFORT, Scorn
Si parla ancora una volta di VExHC, di quella scena così fertile da riuscire a tenere occupate le orecchie di ogni appassionato di hardcore punk. I Discomfort hanno, però, la loro particolarità: l’attitudine hc è incupita da una scelta stilistica molto amara, demoniaca; un dark hardcore non per forza metal, anzi, molto più attaccato al pit di quanto ci si possa immaginare, e questo disco ne è la conferma. L’apertura di Scorn è liquida e densa, si secca solo grazie all’intromissione di voce e batteria, ma la carestia dura poco: il ritmato centrale spezza la ruvidità e concede spazio al pubblico, rallenta il tempo e si appesantisce. La sberla finale – con un accenno di blast-beat – di “Fuck My Dreams” ci risveglia, ma solo per farci annegare di nuovo in “Out Of Steps”: è come se la nostra testa venisse presa e sommersa in continuazione in una vasca di acqua ghiacciata, infatti anche qui vincono i cambi di velocità, ma le chitarre sono molto più acide e la batteria più pesante. “Sink”, fin dal titolo, ci affoga del tutto e il corpo perde i sensi nel ritornello 2-step, ci troviamo ormai in un’altra dimensione, siamo stati feriti in modo irreparabile e questa ne è la conseguenza. “Dirt” rappresenta il post-trauma, dove si ripensa a tutte le alterazioni subite, infatti la traccia ripassa le componenti dell’album, con una parte incentrata sul pubblico che raggiunge il climax del disco, un urlo disperato per risorgere. Risulta, infatti, molto più lucida “Calcutta”, provocatoria fin dallo sputo iniziale, ben temperata e mai caotica, anzi paradossalmente composta. Le due tracce successive molto più hardcore si spengono nella title-track , abissale, lunga e lenta (quasi il doppio della media), perfetta rappresentazione della follia e della disperazione raggiunte dopo i traumi subiti.