DioDrone
The New Noise, come sa bene chi ci segue, si occupa di sonorità alquanto differenti e spesso antitetiche nel modus operandi (velocità, lunghezza, equilibri interni…), mettendo insieme qualosa che, se guardato in modo superficiale, potrebbe apparire slegato o persino dispersivo. Interessante, invece, è osservare come tutto sia collegato da centinaia di fili invisibili e annodati tra loro, che vanno a comporre un vero e proprio tessuto organico. A volte, poi, capita di incontrare realtà che si muovono su binari similari, tanto da offrire un’ideale colonna sonora al fenomeno sopra descritto. Una di queste è di certo l’etichetta DioDrone, da sempre interessata a dare spazio e voce a progetti dal linguaggio differente e sfaccettato, andando a riempire lo spazio che intercorre tra la furia iconoclasta dell’hardcore e la sperimentazione rumorista di matrice noise e ambient, con tutto quello che si trova nel mezzo. Ci siamo dunque incuriositi proprio perché in qualche modo vediamo tutto questo affine e agganciato a un discorso più ampio su ciò che s’intende oggi quando si vanno a trattare musiche di nicchia, spesso al di fuori del comune sentire. A interessarci ulteriormente, come immaginabile, sono l’approccio diy e l’interazione personale che vanno a rafforzare i legami più o meno invisibili di cui parlavamo sopra, relazioni che trovano sbocco naturale nella nuova edizione del festival che DioDrone organizza ogni anno (siamo ormai alla quinta edizione), un appuntamento segnato dalla stima e dall’amicizia reciproca che unisce i vari nomi coinvolti, come ci spiegherà lo stesso Nàresh. Queste, insomma, le motivazioni dietro a una lunga chiacchierata che ci ha visti impegnati a comprendere come e perché si possa (e si debba) continuare a dar voce alle istanze più coraggiose e, di certo, anche un po’ folli di chi porta avanti una progettualità tanto appagante dal punto di vista umano e artistico quanto poco sensato da quello meramente commerciale. Lasciamo la parola al diretto interessato.
Raccontaci come ti è venuta l’idea di aprire un’etichetta e quali obbiettivi ti sei posto? Sei solo a gestirla o ci sono altre persone a portarla avanti con te?
Nàresh Ruotolo: DioDrone sorge ufficialmente a gennaio 2013 con una compilation (Vol.0), ma l’idea di mettere in piedi una piccola etichetta indipendente mi girava in testa da parecchio tempo. All’inizio era più un collettivo con un intento molto semplice, mettere insieme i progetti più estremi e sperimentali del giro fiorentino, quelli che si trovavano – per le proprie scelte artistiche – più isolati e più in difficoltà nell’ottenere spazi in cui esibirsi, quindi di creare un circuito tutto nostro, in modo da sostenerci a vicenda e stimolare un po’ di fermento e nuove collaborazioni. La compilation fu pubblicata in formato digitale e messa in download gratuito. Per festeggiarne l’uscita organizzammo il primissimo festival [Zone De Silence] e la stampa di una piccolissima tiratura su cassetta: 26 copie sigillate in un cofanetto fatto a mano contenente ognuno un frammento di una tavola Ouija creata per l’occasione. Era solo un modo per rendere unico questo piccolo evento, ma lavorarci mi piacque molto. Da qui a decidere di investire i miei risparmi per contribuire alla produzione di dischi belli il passaggio è stato breve, ma all’inizio mi sono concentrato soprattutto nell’organizzare concerti ed eventi per creare una sorta di (perdona la parola) “scena”.
Lavoro molto per conto mio, ma ho dei fidati collaboratori e consiglieri, che poi oltre ad essere musicisti che stimo sono anche alcuni dei miei amici più stretti. Nicola Savelli, batterista e percussionista di La Cuenta e Gargamella, tra i titolari della label UTU Conspiracy; Leonardo Granchi, membro degli storici Downward Design Research e ora impegnato nel suo solo project Bad Girl; e Valerio Orlandini (Symbiosis), con cui condivido anche il progetto NORV. Apprezzo molto le collaborazioni spontanee che a volte si creano con le persone che mi circondano, grafici, videomaker e chiunque abbia una bella idea.
Esistono delle etichette di riferimento, passate o presenti, o comunque delle realtà con cui ti trovi in sintonia e ritieni vicine al sentire della DioDrone?
Sono cresciuto musicalmente ascoltando le produzioni di Neurot, Hydra Head, Deathwish e Constellation, ma anche Runt, Sub Pop, K Records e SST. Della Neurot Recordings apprezzo particolarmente il modus operandi, tutti i gruppi coinvolti si aiutano tra loro concretamente per i reciproci concerti, tour o qualunque cosa li coinvolga. È un po’ quello che ho sempre sognato di costruire, e nel nostro assoluto piccolissimo è quello che facciamo. È stato davvero un onore infatti riuscire a portare in Italia i loro Corrections House.
Di realtà interessanti che sento affini al mio percorso al momento ce ne sono diverse e su fronti differenti. Rispetto molto chi investe quello che può perché il panorama sonoro nostrano sia sempre ricco di nuove uscite. Toten Schwan Records e la gemella Anime Nere, UTU Conspiracy, Santa Valvola Records, Icore, Shove e Zas Autoproduzioni, ad esempio. Ma anche chi si sbatte per organizzare festival e concerti come il Rock Valley e il Rottura Del Silenzio, o tutti i live che si avvicendano durante l’anno nelle location più sperdute. E anche tutte le webzine come la vostra che contribuiscono a mantenere alto il livello di informazione su quello che c’è in giro. Credo che lo spirito generale sia del tutto simile al mio.
Consideri la coproduzione più una scelta ideologica o un modo efficace per aiutarsi tra piccole realtà? Quanto credi che sia rimasto oggi nella scena del vecchio spirito della cospirazione diy e delle coproduzioni nate in seno alla scena hardcore?
La coproduzione è indubbiamente uno dei mezzi più efficaci per rendere sostenibile la stampa e la diffusione capillare di produzioni indipendenti, e non la considero una scelta demodé. Oggi pensare di produrre un disco è già di per sé una scelta ideologica, dato che la rete permette un mercato che non necessita del supporto fisico. Ma anche la rete alla fine è un mezzo che dà libero sfogo allo spirito diy, un tempo si registravano compilation su nastro da passare agli amici, ora si possono pubblicare online e farle sentire oltreoceano. Con tutto ciò che si può dire di male delle molteplici possibilità alla portata di chiunque, continuo a trovarvi molto di quel vecchio spirito di cospirazione ‘autodafé’. D’altra parte, avendo vissuto gli anni Novanta, resto un sentimentale, e credo che il diy sia un’attitudine sufficientemente forte da trovare sempre modo di materializzarsi a ogni cambio generazionale. Speriamo.
Se non erro siamo vicini all’uscita numero trenta, un bel traguardo per chi si occupa di suoni non proprio “addomesticati”. Come scegli le realtà da supportare e quali tipi di sonorità rientrano nel vostro radar?
Troppo buono, ma è vero, anch’io lo considero un bel traguardo. Una parte delle uscite sono produzioni esclusivamente in digitale, mixtape e bootleg di concerti che ho organizzato e che valeva la pena fermare e pubblicare in download gratuito, e per i quali ringrazio la disponibilità di tutti i musicisti coinvolti. Al momento sono molto fiero della distro di DioDrone. Ascolto sempre volentieri tutte le proposte che ricevo e compatibilmente alle mie possibilità cerco di supportare i progetti che mi colpiscono con i mezzi che ho, co-producendo i loro dischi, invitandoli a suonare o anche solo acquistando qualche copia da tenere in distro. Per quanto riguarda i tipi di sonorità, ho gusti piuttosto eterogenei. Mi interessa la ricerca, ma soprattutto la verità (per così dire) e l’intensità di ciò che ascolto. Ho sempre pensato che la musica migliore nasca dalla necessità di buttarla fuori, dalla più semplice alla più elaborata, indipendentemente dal genere.
Tra l’altro, a scorrere il catalogo si direbbe che vi muoviate tra gli estremi di suoni espansi/sperimentali e la furia cieca dell’hardcore più brutale e dell’estremismo sonoro più violento, da cosa nascono queste passioni all’apparenza opposte e come rispecchiano i tuoi gusti/il tuo percorso di ascoltatore?
Tutte le scelte che opero con DioDrone sono influenzate dai miei trascorsi di ascoltatore e musicista. Ho sempre avuto un debole per le sonorità forti, dai miei primissimi ascolti consapevoli legati al punk, al noise e all’hardcore al primo vero concerto a cui ho assistito a tredici anni che ha cambiato radicalmente la mia vita (i Motorpsycho nel tour di Demon Box).
La potenza in fatto di suono per me non è però strettamente legata alla pesantezza di un genere, ma più all’intensità, al messaggio e al coinvolgimento che un disco riesce a trasmettermi. Cose che puoi trovare anche nell’ambient, nel folk o nell’elettronica e non soltanto nei chitarroni accordati in Z.
Non nascondo comunque una sempiterna passione per valvole roventi e batterie pestate a dovere.
Molte delle uscite DioDrone sono in streaming e free download su bandcamp, quanto credi che questo tipo di fruizione/offerta possa aiutare una label indipendente come la DioDrone nel far conoscere la propria proposta in un momento di profonda crisi del mercato discografico?
La scelta di offrire un catalogo prevalentemente in free download non è stata una questione strategica pubblicitaria. Chi è appassionato (o feticista come me) opterà sempre per il supporto fisico indipendentemente dalla possibilità di scaricarsi un album. In questo momento, almeno in una posizione come la mia, non si producono dischi con l’idea di venderli, ma più per dare il proprio contributo alla scena indipendente perché ci si crede. La questione della crisi è piuttosto ambivalente, da una parte il mercato mainstream vacilla mentre dall’altra quello più sotterraneo ha comunque una sua nicchia fedele.
Ma hai ragione, il download gratuito può anche essere un modo per avvicinare le persone a sonorità diverse, a patto di avere un impianto o delle cuffie accettabili con cui poi ascoltare! (risate e applausi, ndr)
Sul piano del prodotto fisico, quali supporti utilizza l’etichetta e quanta importanza dai a grafiche e packaging? C’è un filo comune che lega a qualsiasi livello le uscite DioDrone e che le rende per te accomunabili?
La distro di DioDrone comprende dischi su supporti di ogni genere, dal digitale a vinili, cd e cassette (per le quali ho una particolare fissazione, un residuo della mia adolescenza). Il packaging e le grafiche in generale hanno per me una grande importanza, e lo dico sia da appassionato che da musicista e da etichetta. Mi piace pensare che un artwork debba essere a suo modo unico, soprattutto se si parla di una piccola tiratura. La confezione dell’album dei NORV è realizzata interamente a mano, sia per cd che per nastro, così come il cofanetto di Vol.0 e le primissime cassette degli Hate&Merda. Ho sempre visto l’immaginario grafico di DioDrone in bianco e nero e piuttosto minimale, ma il risultato è una combinazione di stili per i quali devo ringraziare anche alcune persone che hanno contribuito, come Stefano Matteoli (disegnatore di talento che oltre ad essere autore delle copertine di molti dischi del circuito fiorentino è anche il chitarrista dei Loia) o Viola Massai, che ha dipinto il logo della label. Il filo conduttore che lega tutte le uscite a cui ho partecipato è soprattutto costituito dalla stima reciproca con i progetti coinvolti, e la passione generale per quello che facciamo.
A breve si terrà la quinta edizione del DioDrone festival, ti va di raccontarci come è nato questo appuntamento e che ricordi hai delle passate edizioni?
Il primo festival, svoltosi al fu-Rullante Club di Firenze (luogo che è stato il nostro quartier generale per la maggior parte dei primi eventi), è stato più una scusa per festeggiare la nascita del neonato collettivo, ma poi l’appuntamento è diventato ogni volta un’occasione per realizzare una serata diversa e con una sua storia. Trovo importante che questo evento si evolva con il passare delle edizioni così come anche l’etichetta sta crescendo. Il DioDrone Festival è come una scadenza che mi piace mantenere costante, un modo per organizzare qualcosa che vorrei andare a vedere.
Sono legato a ogni edizione per motivi diversi, e anche se ogni santa volta che ci troviamo ad allestire tutto ci ripetiamo che non lo rifaremo mai più, alla fine ci ricadiamo sempre, ma non potrei assolutamente sognarmi di realizzare uno di questi appuntamenti senza l’appoggio (pratico e psicologico) dei miei collaboratori.
La terza edizione (‘Odusseus’) fu organizzata per raccogliere fondi per lo storico Cinema di Castello di Firenze che rischiava la chiusura. La serata si svolse proprio all’interno del cinema, con l’occasione di utilizzare il proiettore per realizzare un vero e proprio viaggio tra concerto e immagini. Andò tutto splendidamente e da allora il Circolo ci ha invitati a ripetere le nuove edizioni nella sua location. In effetti non ho nessun ricordo negativo.
Chi sarà presente in questa edizione e come hai scelto chi coinvolgere? Quali sono i criteri con cui nasce la scaletta del festival?
‘Ansi Lumen’ ospiterà quattro progetti del panorama nostrano. Gli OvO, che non hanno bisogno di presentazioni e che restano a mio avviso una delle colonne portanti della nostra cultura alternativa; Bologna Violenta, al secolo solo project del poliedrico Nicola Manzan che da quest’anno si avvale di Alessandro Vagnoni alla batteria; gli Architeuthis Rex, progetto tra drone e ambient che vede la collaborazione di Antonio Gallucci e Francesca Marongiu (Agarttha); e i Dolpo, vera rivelazione dall’Emilia, più che un gruppo un monastero che unisce sonorità post-rock a atmosfere tibetane.
La line up è davvero variegata e insieme complementare, come quattro elementi diversi che insieme creano il giusto spettro. Sono molto soddisfatto e non vedo l’ora che si vada in scena.
L’aspetto che preferisco però è che anche quest’anno i progetti coinvolti sono tutti composti da persone che stimo e con cui ho la fortuna di avere un buon rapporto umano. Il caso vuole che questa edizione del festival cada per il mio compleanno, e mi piaceva l’idea di avere una scusa per non festeggiarlo ma avere comunque un’ottima compagnia ed una fantastica colonna sonora.
Progetti futuri, quali le prossime mosse e le uscite già programmate? Quale il nome che vorresti un giorno portare su DioDrone?
Di recente ho contribuito alla pubblicazione di Void, il primo album dei marchigiani Void 00, e alla ristampa di Circling Further Down dei Flying Disk di Cuneo, mentre sono al momento in stampa l’album d’esordio dei giovani Carnero e La Capitale Del Male, il nuovo lp dei fiorentini Hate & Merda, in arrivo a gennaio. Per il 2016 poi abbiamo in programma pubblicazioni per Loia (un power trio locale davvero potente) e Marlon Brando, duo desert sound-blues di Pistoia davvero particolare.
Ma il disco più atteso in casa DioDrone è il primo album di Bad Girl, che aspettiamo da tempo immemore e per il quale stiamo pressando moltissimo.
Grazie mille per il tuo tempo a te le conclusioni. Se ti va lascia ai nostri lettori i contatti e i link utili…
Grazie a te per la chiacchierata e per tutto il supporto che The New Noise ci ha sempre dato. Tutte le pubblicazioni diodroniche sono disponibili sulla nostra pagina, e chiunque volesse può contattarci via mail.
Ricordo l’appuntamento con ANSI LUMEN, il DioDrone Festival V: Domenica 22 Novembre presso il Cinema di Castello di Firenze (via Reginaldo Giuliani 378).
Ora basta parlare, alziamo il volume!
La messa è finita, andiamo in pace. Omen.