DESTRUKTOR, Opprobrium
Non lasciano adito a dubbi, i Destruktor: in copertina campeggiano un rabbino, un imam e un vescovo, impiccati davanti a un’orda di demoni. Lasciate quindi a casa le barbe e i libri di Proust, a occhio c’è bisogno d’altro. I Destruktor suonano da tanti anni e popolano l’affollata scena black/death australiana (Denouncement Pyre, Nocturnal Graves, Abominator, Ignivomous…). Fra tutte le uscite che ho avuto modo di sentire, ritengo decisamente questa la loro migliore. Il genere è piuttosto rigido nei suoi canoni, è difficile poterli (volerli) sfondare o quantomeno danneggiare. I Destruktor, dunque, puntano su altri ingredienti, come la registrazione nitida (elemento per nulla scontato) che evidenzia il lavoro di batteria nonostante le altissime velocità e, soprattutto, quello di chitarra. La band, invece di affidarsi a un caos indistinto per definizione, sciorina una pletora di riff occasionalmente persino eccitanti, vedi il secondo pezzo “Besieged”. Così, in questa maniera apparentemente banale, viene lasciata indietro una gran parte di colleghi nella corsa alla qualità (e nell’evitare la monotonia): nel metal il riff è sempre stato l’elemento principale e i Destruktor non se lo dimenticano, nonostante molti preferiscano puntare su altro.