DEATHSPELL OMEGA, Furnaces Of Palingenesia
Il mastodontico e metafisico operato dei Deathspell Omega non ha più bisogno di presentazioni, in quanto la band è stata capace di rivoluzionare il black metal almeno un paio di volte negli ultimi quindici anni (l’ultima pietra miliare è stata senza dubbio Paracletus del 2010) ed è diventata spesso metro di paragone per decine e decine di gruppi sparsi per il mondo. La lunga e satanica omelia iniziata nel 2004 con Si Monumentum (…) ha teso pian piano verso l’astrazione, verso il simbolismo e l’ermetismo, riscrivendo una personalissima visione della musica: religiosa, ortodossa, veterotestamentaria… Col passare degli anni i suoni e gli strumenti si sono frammentati, staccati, velocizzati e spezzati a intermittenza, guadagnando – in modo quasi paradossale – calore umano. Le chitarre spesso hanno perso le distorsioni più estreme e la batteria, pur nella sua furia, ha sfoggiato un approccio quasi jazz-rock.
Da Drought in poi sono avvenuti piccoli e impercettibili cambiamenti: Hasjarl e gli altri hanno puntato sulla brevità dell’esecuzione, infilando colpi veloci e concisi, disgregando e rendendo ancora più arido l’aspetto delle sonorità, senza però mai trascurare la produzione, le composizioni e l’estetica. Furnaces Of Paligenesia, parafrasando titolo e testi, racconta un utopico progetto di rinascita. Si parla di un Ordine che gestisce una nuova umanità post-apocalittica, un’organizzazione di entità senza sfumature, costrette a prendere una posizione; i traditori, gli ignavi e i passivi saranno puniti poiché non sono stati in grado di appartenere a un ruolo; il sacro compito non è di governare questa Città né combattere per acquisire potere: ma è tendere a formare la perfezione sulla Terra, l’instaurazione di un Ordine così perfetto da durare almeno mille anni. Questo è il manifesto di “Renegade Ashes”, uno dei brani più brutali ma allo stesso tempo con riff memorabili e quasi melodici (ovviamente si sa da anni con quali pinzette e quante virgolette si devono prendere termini come “melodia” e “riff”).
Le chitarre estrapolano note inimmaginabili, imprevedibili e che spesso non compaiono più di due volte nel corso del brano; le urla di Mikko Aspa questa volta rimangono gutturali, declamano frasi e dettano comunicati, evitando la bestialità del passato. Una novità che si può definire consistente è il rado ma continuo comparire di sintetizzatori, che emergono minimali ma allo stesso tempo possenti e invasivi. Non si sentono più le trombe apocalittiche del Paradiso e dell’Inferno, ma stiamo assistendo alla messa in musica di una nuova Creazione che non ha più nulla a che fare col Sacro: la colonna sonora di una fabbrica di post-umani che andranno ad abitare un nuovo mondo buio e spoglio. La maggior parte della componente brutale e aggressiva è stata accantonata in favore di un’atmosfera marziale e straniante, orientativamente simile alla trilogia 777 dei Blut Aus Nord.
L’aspetto di questo nuovo “Creato” è rappresentato nel video ufficiale di “Ad Arma! Ad Arma!”, primo videoclip dei Deathspell Omega: si ascoltano riff thrash cambiare negli ormai classici arpeggi cacofonici, poi si vede un’imponente città futurista, monolitica e di dimensioni sproporzionate, ergersi dal deserto; in seguito osserviamo i suoi enormi ingranaggi interni e le sue labirintiche scale escheriane, con centinaia umani di identico normo-tipo che marciano nelle ombre dei palazzoni razionalisti, modulari e costruttivisti. È la musica di un mondo senza più natura, vegetazione, animali, senza né acqua né cibo; è il suono di un ipotetico momento in cui tutto questo è fabbricato prima ancora dell’esistenza di qualsiasi bisogno.
Quello dei Deathspell Omega è il solito – ma personale – telaio col quale tessere trame ò la Ved Buens Ende, Blut Aus Nord, Converge e Dillinger Escape Plan, continuando a filare quei suoni ai quali loro stesso hanno contribuito a dar forma negli ultimi anni.