DEATH ON/OFF
I Death On/Off sono una macchina da guerra che oggi gira a pieno regime, come dimostrato anche nell’ultimo split in compagnia dei Grumo e sul palco dell’ultimo Metal Punk Inferno tenutosi a Jesi. Momento ideale, quindi, per fare con loro il punto della situazione e ripercorrere quanto realizzato finora, un po’ come avviene nella recente raccolta Criminal Exhibition, realizzata dalla End Of Silence Records. Le foto a corredo dell’intervista sono del nostro Marco Pasini.
Cominciamo dalla fine, cioè dall’uscita della vostra discografia per la End Of Silence Records, un modo per fare il punto della situazione e ripercorrere la vostra storia. Quali secondo voi le tappe fondamentali e i momenti più significativi?
Frenzo (chitarra): Era già da un po’ che pensavamo di far uscire un cd, soprattutto perché ai concerti e su internet capita che ce li chiedano. Fino ad ora avevamo fatto uscire solo un cd (lo split con i Mannaia, aggiungendo inediti come bonus) oltre a diversi vinili e cassette. È stato un modo per rendere fruibile a tutti, anche quelli che non possiedono un giradischi (eresia!) la nostra musica. Poi nel formato cd non puoi limitarti a metterci dentro sette, dieci pezzi come su un vinile, quindi abbiamo colto l’occasione per fare un back-up dei brani di questa nostra prima fase dal 2012 al 2015. C’è dentro anche un live del 2016. Sentivamo l’esigenza di rendere più appetibile il formato, arricchendolo di cose che altrimenti non si troverebbero su altro supporto, forse perché (vale anche per noi stessi) il cd deve invogliare per essere preso, altrimenti se ne preferiscono altri.
Torci della End Of Silence lo conosciamo da un po’, come detto abbiamo anche fatto uno split insieme con i suoi Mannaia, ed è venuto spontaneo incontrarci a metà strada tra il nostro desiderio di far uscire il cd e il suo desiderio di riprendere le uscite discografiche con l’etichetta. È stato tutto molto facile e bello e siamo soddisfatti del risultato.
È stata un’occasione, quindi, per riascoltare tutti i brani registrati finora. Per me il primo album ha sempre un fascino particolare nella sua spontaneità e immediatezza, non dico sia il mio preferito, ma rimane quello al quale probabilmente sono più legato, anche se non c’era ancora la Mary nella band.
Ricordate come è iniziato tutto e cosa vi ha spinto a formare i Death On/Off? Di chi è stata l’idea per il nome?
Frenzo: Tutto è partito all’inizio dell’estate del 2012, per gioco, per fare una suonata insieme io, A.C. e Janz: chitarra, basso più voce, batteria. Abbiamo fatto due o tre prove cercando di tirar fuori dal cappello sonorità alla Motörhead. Ci siamo, però, subito rotti il cazzo e, in contemporanea all’esigenza di A.C. di passare alla chitarra e all’ingresso nella band di Vittorio la Bionda, abbiamo cominciato a produrre cose con la sola pretesa che fossero più veloci, più alte di volume, più basse di tonalità e più grezze di quanto avessimo mai suonato in passato. Nessuno di noi aveva mai ascoltato del grind prima, se non Scum dei Napalm Death e io i Cripple Bastards, e di certo nessuno di noi lo aveva mai suonato, venivamo tutti più o meno dall’hardcore o dal metal. Il tempo di fare dieci pezzi e li abbiamo registrati immediatamente. Il nome l’ha buttato li Janz e a noi è andato bene subito.
Janz (batteria): A me basta non avere mai lunghe pause tra un gruppo e un altro, l’importante è che sia gente che conosco di persona. Perciò, quando Frenzo e Renzo (A.C.) mi hanno proposto di suonare con loro, ho accettato senza pensarci due volte. Il genere non sembrava troppo lontano dal punk (si parlava di fare robe in stile Motörhead, tipo metal-punk, diciamo) ma ci siamo subito stufati e abbiamo deciso di velocizzare il tutto e buttarci sul grindcore. In realtà non è che io sia mai stato un gran batterista, ma col tempo ho imparato, a modo mio, a picchiare abbastanza peso di blastbeat. Non ho mai avuto dei grandi riferimenti, a parte i primi gruppi grind inglesi che cominciavano a girare alla fine degli anni Ottanta (Heresy, Napalm Death e altri che ora non ricordo nemmeno) e svariati gruppi death metal (che tuttora preferisco di gran lunga al grind). In tutti i casi il grindcore è un genere che ascolto molto di rado. Resto fedele a cose che mi hanno segnato nel profondo, come il primo punk inglese o la new wave europea primi Ottanta, che trovo molto più interessanti di un sacco di roba che gira oggi. Infatti prima o poi metterò in piedi un gruppo new wave!
Una caratteristica del vostro sound è la capacità di uscire dai classici cliché grindcore grazie ad un approccio aperto e personale, si direbbe quasi che all’interno della band convivano differenti anime. Scontato, quindi, chiedervi da dove venite come ascoltatori e musicisti, con cosa siete cresciuti e cosa ascoltate oggi?
Frenzo: Io ho iniziato con la prima band nel 1999 facendo crust punk, un gruppo che è durato neanche due anni con un concerto all’attivo. Poi ho cavalcato l’ondata emo (emo alla Eversor e Miles Apart per intenderci), passando per l’indie rock e poi in una band post-hardcore per cinque anni. Ho sempre ascoltato di tutto, privilegiando l’hard-core degli anni Ottanta, sia italiano, gli Impact e i Declino sopra tutti, sia americano, Black Flag e pure quello più melodico dei Descendents. Anche quello degli anni Novanta e dei primi Duemila: i Sottopressione o i californiani Locust, tanto per fare due nomi.
Oggi, visto che viaggio molto in auto per lavoro, ascolto veramente tantissima musica, tutto quello che ho in vinile ora ce l’ho anche in mp3 per un ascolto più agile e, da quando siamo in questo giro musicale con i Death On/Off, ho scoperto tantissimi gruppi (e persone) che ascolto spesso, come i Carnero, i Mannaia, i Dysmorfic, gli Storm{O}, i Marnero, i Grumo…
A.C. (chitarra/voce): Io sono sempre stato affamato di musica e ho sempre ascoltato di tutto, dal death-metal al punk, dal prog all’indie. Ho sempre trovato qualcosa di buono in quasi tutti i generi “alternativi”. Posso passare dai Cryptopsy ai Miles Apart senza problemi. In una band tutti quanti dovrebbero esprimere se stessi senza farsi condizionare da ciò che ascoltano o dalle mode del momento.
Janz: Praticamente ti ho quasi già risposto nella domanda precedente, ma posso aggiungere che personalmente, oltre al punk e la new wave, ascolto davvero di tutto! Poi, come già sai, io sono stato il chitarrista degli Impact sin dalla loro nascita nel 1980 e questo ha inevitabilmente modellato il mio personale approccio a ogni genere musicale con cui mi sono cimentato, punk o non punk. Provo a spiegarmi in maniera molto spiccia: se nei gruppi dove suono non ci “sento” un’attitudine punk, mi rompo subito il cazzo e me ne vado.
Mary (voce): Partendo dalla mia infanzia, l’unica cosa per cui posso ringraziare mio padre è quella di avermi fatto conoscere diversi generi musicali come, hard rock, heavy metal, doom metal eccetera. Lo ringrazio anche per avermi fatto subire e patire gruppi come Iron Maiden, Pink Floyd e Scorpions fino al vomito.
Crescendo, ho iniziato ad approfondire altri generi: thrash metal, death, black e tutti i sottogeneri derivati. Il punk per me era un discorso a parte, essendo cresciuta in un paese ex sovietico, l’approccio con i gruppi punk sovietici era ben diverso, le tematiche erano diverse i suoni, l’attitudine, insomma tutto.
Ora ascolto tutto quello che mi possa trasmettere il male assoluto, diciamo che devo godere al suo cospetto. Gruppi come Void Meditation Cult, Sonne Adam, Blood Incantation, Beherit, Dead Congregation e tanti altri per ora sono molto soddisfacenti.
Gli omaggi a Fear, Black Flag, Discharge, D.R.I., Impact, parlano di una concezione hardcore vecchia scuola, legata più all’attitudine che non ad uno specifico suono. Che cosa è per voi l’hardcore e quanto è rimasto oggi di quella prima ondata?
Frenzo: Vorrei che a questa domanda rispondesse principalmente Janz, che ha vissuto l’epoca originaria e potendo fare un excursus temporale. Io posso dire che l’etica diy, tipica della vecchia scuola (che poi fortunatamente continua anche nella nuova scuola), mi accompagna quotidianamente, dall’essere padre a qualsiasi cosa io faccia nel mio lavoro con i disabili, alla musica…
Janz: Anche questa volta ho quasi già risposto nella domanda precedente. Credo che l’hardcore oggi sia ben vivo e vegeto e questo lo vedo nei festival più grossi (Venezia HC, Distruggi la Bassa e simili), perché almeno riesco a rendermi conto di quanti gruppi siano veramente personali e unici in questo genere, che fino a qualche anno fa sembrava molto più omologato musicalmente ed esteticamente.
Una cosa che invece mi ha davvero stancato sono le reunion dei vecchi gruppi (ma anche di gruppi di anni più recenti). Dovrei solo tacere perché in effetti anche con gli Impact ci siamo lasciati trascinare in questa specie di nuova moda, dal 2006 al 2013, ma proprio perché ho vissuto quell’esperienza posso dire che spesso mi sono sentito un po’ estraneo rispetto al contesto odierno, visto che il pezzo più nuovo che proponevamo era del 1987 e che spesso suonavamo con gruppi che spaccavano il culo come pochi! Belli i nostri pezzi, a cui sono molto legato, e tutto bello e divertente, specie incontrare i vecchi amici e conoscere gente nuova, ma alla lunga stava diventando una specie di circo.
Diciamo però che non è nemmeno tanto importante il fatto che un gruppo hc decida di riunirsi dopo anni, ma il fatto che ormai è una cosa che sta succedendo ovunque, a tutti i livelli e in tutti i generi. Non so, penso che l’hardcore dovrebbe essere diverso da quello che succede in altri ambienti del cazzo.
Non è facile condensare in poche battute un’intera canzone senza risultare monotoni e soprattutto imprimendo ai vari brani una personalità e un tratto distinguibile. Come nascono i vostri pezzi, componete tutti insieme in sala prove o c’è chi si occupa di abbozzare i brani per presentare poi le sue idee agli altri?
Frenzo: I pezzi nascono da giri di chitarra a volte miei e più spesso di A.C., ai quali poi adattiamo testi scritti in precedenza da me, o da A.C. o dalla Bionda. Poi ovviamente in sala prove gli abbozzi vengono completati e modificati da tutta la band.
I titoli, così come gli artwork, non lasciano adito a dubbi circa un approccio diretto e poco subordinato a ciò che la società considera accettabile, eppure ho l’impressione che siano proprio uno specchio della nostra società attuale, almeno di come la vedono i vostri occhi. Mi sbaglio?
Frenzo: All’artwork da sempre ci pensa A.C., che può ascoltare le nostre idee come andare in autonomia. Così è fin dall’inizio e non ha mai sbagliato un colpo! Siamo molto attenti alla società in cui viviamo e a quello che accade, ognuno con la propria visione ed esperienza personale. L’idea fin dal 2012 era creare qualcosa che fosse uno specchio dei nostri tempi, in modo che vedendo gli artwork (come quello del primo 12” del 2012) e leggendo i testi si potesse intuire a che anni appartenevano. I titoli dei pezzi nascono addirittura prima dei testi, avviene la folgorazione su un titolo e da lì si parte per costruirci sotto qualcosa. Di solito è A.C che viene in sala prove o mi telefona e mi dice che ha in mente questo titolo e mi “commissiona” il testo da scriverci sotto.
A.C.: I testi e l’artwork per quel che mi riguarda sono fondamentali per l’identità dei Death On/Off. L’idea, fin dall’inizio, è proprio individuare e rappresentare gli aspetti più negativi, bizzarri e malati della società attraverso tre cose: la musica, le parole e la grafica. Tutto questo in maniera ironica e irriverente. L’ironia diventa una sorta di autodifesa nei confronti di quello che la società ci propone ogni giorno.
Avete realizzato vari split, come scegliete le band con cui dividere un’uscita? Quanto peso hanno i rapporti umani e l’amicizia nel decidere con chi collaborare sia come band che come label?
Frenzo: Tre split!
Con i Dysmorfic: non li conoscevamo (colpa nostra, come ti ho detto per noi prima del 2012 c’era il vuoto), ci ha proposto Marco della Zas Rec. di farlo con loro. Da allora sono diventati una delle mie band preferite e dei buoni amici, abbiamo condiviso lo stesso palco due volte e ci si sente frequentemente sostenendoci a vicenda.
Con i Mannaia: per me fare uno split con la band di Marco (Morosini, ex Eversor e Miles Apart) è stato come chiudere un cerchio, per quello che le sue band hanno sempre significato per me e per l’amico che è adesso. Inoltre i Mannaia sono proprio fighi!
I Grumo: conoscevamo solo Riki da quando ci aveva chiamato a suonare al Born to be Grind, il loro ultimo cd (Fallimento) è una bomba e vederli dal vivo ci ha così esaltati che abbiamo fatto noi la proposta a loro e hanno accettato subito! Hanno l’attitudine giusta e live appunto spaccano.
Con le etichette e i ragazzi che le gestiscono ci siamo sempre trovati bene! Sono tutti amici o lo sono diventati di conseguenza. Dalla prima Hanged Man Rec che ci ha dato fiducia, passando per la Dischi Grezzi di Franco, la Zas e la Assurd di Marco e Alessio e la End Of Silence di Torci, sono tutti amici e ci si vede o ci si sente spesso.
A.C.: Dysmorfic, Grumo e Mannaia sono prima di tutto amici e persone che stimiamo molto e sono ottimi musicisti. In un genere come il nostro i rapporti umani con le persone sono di vitale importanza anche per tenere “viva” la scena. Si basa tutto sul rispetto reciproco al di là della musica e del genere che può piacere o meno, sostenersi a vicenda.
Di recente vi ho visto al Metal Punk Inferno di Jesi dove avete offerto ai presenti un set incredibile. Quali sono per voi i fattori determinanti per la riuscita di un buon live? Quanto conta l’attività dal vivo per una formazione come i Death On/Off?
Frenzo: Il nostro primo live è stato in febbraio 2015, prima non volevamo farne, per scelta. Abbiamo passato due anni e mezzo in sala prove e in studio di registrazione perché volevamo che il nostro progetto fosse quello: fare pezzi, registrarli e fare uscire dischi. Poi qualcosa è cambiato. Anche grazie alle persone che continuavano a chiederci di suonare abbiamo deciso di provare e alla fine è stato figo! Ci è piaciuto e non ci siamo mai fermati. A me piace un sacco vedere la gente che si diverte e osservare cosa fanno gli altri della band mentre suonano. Ora non mi fermerei a fare dei live, sebbene la mia vita lavorativa e familiare mi imponga di non farne più di due al mese.
A.C.: Ciò che determina la buona riuscita di un concerto è il suono sopra e sotto il palco. L’impatto e la precisione nell’eseguire le proprie canzoni e l’attitudine, il modo in cui suoni. Devi far capire al pubblico, alla gente che ti guarda, che tu sei lì per comunicare un messaggio ben preciso che è espressione di te stesso. E lo devi fare nel modo giusto. Devi dare sempre il massimo.
Mary: Io sono sopraggiunta molto più tardi nei Death On/Off come componente fisso del gruppo. Il primo live lo abbiamo fatto nel 2015 nella nostra Ferrara, città che secondo me era del tutto impreparata. La copertina dell’evento realizzata da A.C è finita su tutti i giornali e i quotidiani con tanto di critiche e accuse, è stato eccezionale, una cosa che mai ci saremmo immaginati. Infine la sala del concerto era piena e la gente era del tutto sorpresa e sconvolta quando abbiamo attaccato a suonare, in quel momento pensai “beh siamo a Ferrara”, ma la cosa bella è che man mano che facciamo altri concerti anche fuori, in contesti diversi, la gente ha sempre la stessa identica reazione e questo mi diverte un sacco.
Cosa ne pensate dei social network e della rete in genere, un utile mezzo per diffondere la propria musica o una bolgia che alla fine svuota di valore e livella tutto?
Frenzo: Per noi è stato un mezzo molto importante all’inizio. Grazie a Facebook ci contattavano, e contattano ancora, per proporre live e sempre grazie ad un annuncio su Facebook Antonio della Hanged Man Rec. ha raccolto l’invito a produrre il primo 12”. Molte delle etichette delle varie coproduzioni sono venute fuori tramite i social e molti acquisti di merchandise anche. Poi è ovvio: bisogna saper dosare, io uso i social solo per la musica, per concerti e info sulle nuove uscite, quindi riesco a gestirlo bene. Non sono molto attratto dalle cazzate sui profili personali.
A.C.: Facebook è un ottimo mezzo per comunicare. Veloce e pratico. Si è sempre aggiornati su eventi, concerti e uscite discografiche. Attraverso la rete hai la possibilità di farti conoscere e di fare ascoltare i tuoi brani a tanta gente. Purtroppo, però, questo mezzo ha tolto la possibilità di sognare, di immaginare. È tutto troppo pratico e diretto. Una volta, quando scoprivi un gruppo nuovo dovevi comprarti il cd o vinile per forza a meno che un tuo amico non ti facesse una copia in cassetta. Adesso basta un click e puoi ascoltare tutto quello che vuoi. Immaginavi il tuo gruppo preferito dal vivo e stimolavi la mente e la fantasia. Adesso basta andare su YouTube e ti vedi tutti i concerti che vuoi. Addirittura c’è un sito che ti spiega, se vuoi fare il punk o il metallaro, come ti devi vestire e cosa devi ascoltare. Assurdo. Forse è anche per questo motivo che negli ultimi anni c’è meno coraggio a proporre idee nuove e si preferisce “seguire” un genere creando così tanti stereotipi e dischi già sentiti milioni di volte.
Mary: Che dire, è sicuramente un mezzo che ti agevola su tantissime cose, però può anche creare tantissime barriere, dato che ultimamente viene utilizzato in maniera molto superficiale. Io preferisco usare un approccio alla vecchia, onde evitare incomprensioni e altre cazzate. Alla fine nella scena siamo i soliti quattro gatti!
Grazie mille del vostro tempo, a voi le conclusioni…
Frenzo: Grazie a te che ci segui fin dall’inizio! Speriamo che il 2017 veda l’uscita anche di un nuovo split, già in cantiere, con gli A New Scar!