DEADBIRD, III: The Forest Within The Tree
Sono passati ben dieci anni dal secondo album Twilight Ritual, il disco con cui li abbiamo scoperti e che ci ha fatto innamorare del loro sound a cavallo tra southern, sludge e psichedelia, un lasso di tempo importante soprattutto in quest’epoca frenetica in cui si riesce a vedere ascesa e oblio di un gruppo nel volgere di pochi mesi. Eppure i Deadbird sono riusciti a rimanere sul pezzo e con III: The Forest Within The Tree mantengono le promesse fatte al tempo, cioè l’abilità nell’amalgamare ingredienti differenti senza perdere mai di vista l’impatto sull’ascoltatore e il forte portato emotivo dei brani, un tratto distintivo che permea anche le nuove composizioni e permette loro di imprimersi in mente fin dal primo giro di giostra. Proprio questo aspetto fa venir voglia di utilizzare il termine rock, non tanto per le sonorità quanto per la centralità della forma canzone e della fruibilità del tutto, il che non deve per forza tramutarsi in una ricerca del facile consenso. C’è, poi, quel mood del Sud, cui si accennava poco sopra, che permea la scrittura e richiama alla mente i nomi storici della scena, una sorta di marchio che rende un brano come “Alexandria” una potenziale hit con cui tentare di espandere il proprio pubblico al netto di futili tentazioni commerciali che mal si attaglierebbero all’essenza della band, in cui militano – val la pena ricordarlo – due Rwake. Ma è tutto il disco a muoversi su livelli di scrittura decisamente curati e a meritare menzione: evitando di cadere nel noioso track by track, come non soffermarsi però anche su “Brought Low”, che parte in modo malinconico, con un taglio crepuscolare, per esplodere in un grido di dolore e lambire il doom più evocativo ed emozionante, con il piglio personale della band e persino una strizzata d’occhio a certa Seattle (Alice In Chains su tutti). Perché di carne al fuco in questo III ce n’è davvero moltissima, compresa un’accelerazione improvvisa di taglio hardcore quando meno te la aspetteresti, così che il titolo finisce per rispecchiare fedelmente l’immagine che porta con sé, quella di una foresta intera dentro un albero. Opera ambiziosa, di sicuro, ma ancora una volta superata con intelligenza e abilità da una di quelle formazioni che sarebbe davvero stato un peccato perdere per strada. Bentornati.