Davide Straccione (Zippo, Shores Of Null / Tube Cult Fest, Frantic Fest / Spikerot Records)
Zippo, Shores Of Null, Skeptic Events, i festival Tube Cult e Frantic (del quale da questa edizione siamo media partner), Spikerot Records, difficile pensare che una persona possa avere tempo per occuparsi di tutto questo senza andare in confusione, eppure non solo Davide ci riesce, ma – a giudicare dai risultati – sembra anche bene. Incuriositi, abbiamo cercato di carpire il segreto della sua giornata di quarantotto ore.
Ciao, iniziamo dalla recente ristampa di Ode To Maximum degli Zippo, uscito come auto-produzione nel 2006. Che ricordi ti affiorano alla mente se riascolti quel disco? In che modo quei primi tempi e quel disco hanno influenzato ciò che siete oggi come band e come musicisti?
Davide Straccione: Ciao Michele, ricordo un periodo molto felice e ricco di esperienze nuove, il primo disco in studio è senz’altro un’esperienza che ti porti dentro per sempre. Ricordo perfettamente quando riascoltavamo i rough mix in macchina ogni sera al ritorno dall’Acme Recording Studio di Raiano, era bellissimo sentire per la prima volta quei pezzi incisi in maniera indelebile su supporto fisico, un’emozione che a diciannove anni ti assicuro è indescrivibile. Riascoltandolo ora lo trovo ancora al passo coi tempi, credo sia un disco valido che rappresenta perfettamente un momento della nostra vita, forse con un paio di ingenuità qua e là che però non cambierei per nulla al mondo. Su quel disco ci sono pezzi che suoniamo ancora oggi dal vivo, in particolar modo “The Elephant March”, con cui chiudiamo i nostri concerti da sempre. Sicuramente quel periodo ha influenzato ciò che siamo oggi, sarebbe strano il contrario.
Anche se oggi è uscito per un’etichetta, in fondo è rimasto comunque in casa visto che, se non erro, tu sei uno dei fondatori della Spikerot Records. Come mai hai scelto di seguire personalmente questa ristampa e non affidarla un’altra etichetta con cui magari avete collaborato o siete in contatto? Una coincidenza o la voglia di mantenere comunque il pieno controllo su questo disco?
La ristampa di Ode To Maximum era nell’aria da diversi anni, avremmo voluto farla uscire per il suo decennale nel 2016, ma poi i tempi si sono dilatati e inoltre nel 2016 è toccato al nostro ultimo album After Us, quindi una doppia uscita non avrebbe avuto senso. In passato se n’era parlato con Subsound Records, ma anche lì non si è mai andati oltre. Magari un po’ per esperimento, insieme ai miei soci di Spikerot Records abbiamo deciso di darlo alle stampe, con un artwork interamente rinnovato a cura di Davide Mancini (Dartworks), un remastering affidato a Tony Reed dei Mos Generator e l’inserimento di un paio di bonus track registrate nel corso degli anni. Quel disco era sold out ormai da più di un decennio e meritava una seconda vita, è stato questo il vero motivo dietro alla ristampa ed è stato bello metterci mano in prima persona.
Cosa ti ha spinto, completamente in controtendenza, ad aprire un’etichetta di questi tempi? Credi ci sia un ritorno all’oggetto fisico dopo la sbornia del digitale?
Io e i miei soci – Antonello e Alessio – abbiamo sempre vissuto la musica con estrema passione: suonando in diverse band, organizzando e andando ai concerti ma anche comprando dischi e merch. Ci siamo così dentro da sempre che alla fine ci è venuta voglia di creare la nostra etichetta, con l’intento di focalizzarci su prodotti belli da vedere e da toccare con mano, oltre che sull’aspetto puramente musicale, che ovviamente reputiamo di primaria importanza. Senz’altro il prodotto fisico, in particolar modo il vinile, è tornato alla ribalta e stiamo vivendo un’epoca interessantissima in questo senso. Chi l’avrebbe mai detto?
In che modo credi che la tua attività come musicista possa aiutarti o, al contrario, renderti più difficile il ruolo nell’etichetta? Non rischi di essere troppo empatico con i musicisti visto che anche tu vivi l’esperienza dall’altra parte della barricata
Avendo suonato tanto in giro ho avuto la fortuna di conoscere molte band e di incontrare tante persone con le quali ho costruito un rapporto di amicizia e stima reciproca. Credo che la nostra attività di musicisti possa aiutare a promuovere Spikerot negli ambienti che frequentiamo, perché no? Stare da entrambi i lati della barricata insegna a essere realistici, a ponderare meglio le cose ma soprattutto a essere trasparenti con le band con cui decidiamo di collaborare.
Oltre agli Zippo, sei impegnato anche con gli Shores Of Null, un gruppo più marcatamente metal che di recente si è tolto anche la soddisfazione di aprire per un mito come gli Arcturus, oltre ad andare in giro per l’Europa con gli In The Woods… Cosa bolle in pentola per il prossimo futuro?
Con gli Shores ci siamo tolti qualche soddisfazione, in effetti: i due album finora pubblicati sono stati accolti con molto calore e inoltre abbiamo avuto la fortuna di fare diversi tour europei e festival importanti come l’Eindhoven Metal Meeting, l’Inferno Festival, il Metalitalia e altri ancora. Nel tour con gli In The Woods… ci saranno anche i nostri amici Ereb Altor e Isole e sarà il nostro primo in nightliner, non vedo l’ora. Attualmente stiamo lavorando alle pre-produzioni del prossimo album, ti confesso che siamo a buon punto e che abbiamo già prenotato lo studio per la prossima estate. Torneremo da Cinghio al Kick Recording Studio, squadra vincente non si cambia.
Non bastassero questi aspetti, ti dedichi anche all’organizzazione concerti e festival con la Skeptic Events. A parte chiederti dove trovi il tempo per star dietro a tutto, mi viene da domandarti come vedi la situazione concerti oggi in Italia e se credi che si stiano facendo passi in avanti su questo fronte.
Il tempo non è mai abbastanza, infatti nei periodi più caldi si dorme davvero poco. Molti non si rendono conto, ma tutte queste attività non sono poi così remunerative, quindi tra una cosa e l’altra devi arrangiarti anche con altri lavori. La situazione live in Italia non è cambiata molto da quando ho iniziato a suonare e organizzare, vedo sempre alti e bassi, periodi di apparente splendore seguiti da altri di maggiore calma culturale. Tutto ruota intorno alle persone con una passione enorme e ai luoghi disponibili, finché ci sono questi due elementi ci saranno sempre concerti e margini di crescita e miglioramento.
Tra le varie cose che organizzi spiccano il Tube Cult e il Frantic: ti va di presentarci i due festival e le loro caratteristiche reciproche? Cosa li distingue e – al contrario – cosa li unisce a livello di idee, approccio, obiettivi?
Il Tube Cult Fest nasce nel 2008 in un piccolo circolo di Pescara che è stata la culla del rock/metal cittadino per oltre dieci anni: l’Orange. Il tutto è iniziato per dare un contesto ideale agli Zippo. Iniziando a girare l’Europa e conoscendo altre band e situazioni ho provato ad imitare ciò che di buono vedevo in giro. Anno dopo anno abbiamo avuto band sempre più interessanti, fino a diventare un appuntamento atteso per una nicchia di pubblico appassionata di stoner, doom, psych, post-metal e generi affini. Non è più nemmeno tanto una questione di genere, ormai, ma più di filosofia ed attitudine. Nel corso degli anni abbiamo avuto il piacere di ospitare Ufomammut, Weedeater, Samsara Blues Experiment, Belzebong, Los Natas, 1000Mods, Monkey3 e moltissimi altri, sempre con un attento occhio di riguardo alla scena italiana. Nella prossima edizione, l’undicesima, ci saranno Zaum, Coltsblood, Wayfarer, Entropia, Impure Wilhelmina, Sherpa… La caratteristica principale del Tube Cult è quella di essere un festival piccolo, fiero di esserlo, organizzato in posti che al massimo riescono ad accogliere 100/150 persone: è una celebrazione dell’underground che amiamo. Quest’edizione si svolgerà il 19 e 20 aprile tra Scumm e MamiWata, a Pescara.
Il Frantic nasce con intenti simili ma si differenzia dal Tube Cult per generi proposti e dimensioni. Innanzitutto è un open air, inoltre i nomi Big coinvolti sono ben più noti; ripercorrendo le prime due edizioni saltano all’occhio Enslaved, Entombed A.D., Slapshot, Igorrr, Gbh, Grave, Impaled Nazarene, King Dude, Rome, Claudio Simonetti’s Goblin, Unsane, Zu e via dicendo. Il festival nasce con l’intento di unire metal, rock e punk sotto lo stesso tetto, poiché penso sia inutile fare stupide distinzioni tra generi in qualche modo imparentati, ma che molti vorrebbero vedere divisi. Mi piace considerare il Frantic Fest come una mega festa in cui si celebra la musica alternativa nelle sue varie forme. La prossima edizione si terrà a Francavilla al Mare il 15, 16 e 17 agosto e tra le band confermate fino ad ora abbiamo Napalm Death, Voivod, Aborted, Discharge, Primordial, Eyehategod, Agnostic Front, Midnight, Phlebotomized, Total Chaos, Saor, Messa e tantissimi altri ancora. Gli obiettivi di Tube Cult e Frantic sono diversi: nel primo caso mi accontento che il fest rimanga così com’è, piccolo, intimo e accogliente; nel secondo mi auguro possa diventare un punto di riferimento per l’Italia crescendo anno dopo anno, pur mantenendo una dimensione a misura d’uomo.
Una delle cose che più mi colpiscono di questi eventi è la capacità di coinvolgere nomi decisamente importanti/interessanti al di fuori di una cornice di genere e dei soliti steccati italiani di scena. Penso alla presenza al Frantic di gruppi hardcore e metal, una delle caratteristiche che da sempre invidio ai festival esteri e che qui sembrano sempre essere precluse ad eventi di un certo livello.
È la filosofia alla base del Frantic Fest. Per me mettere hardcore e metal all’interno dello stesso festival è una cosa abbastanza normale, così come per il Tube Cult che nasce con in indole più stoner/doom non è affatto un problema incorporare black metal atmosferico, funeral doom o altre robe apparentemente distanti tra loro. Incorporare altri sottogeneri è diventata quasi una missione per me. Questa cosa farà storcere il naso a molti ma farà anche la gioia di chi, come me e te, non vive di queste barriere.
Come reagisce il pubblico a questa alternanza di linguaggi, quale è il tipico fruitore di questi due eventi? Cosa credi abbia determinato la crescita e i buoni feedback ricevuti nelle precedenti edizioni?
Devo dire molto bene, anche perché se una band non ti piace puoi sempre andarti a bere una birra o mangiare qualcosa senza per forza criticare, che problema c’è? Non puoi capire che soddisfazione nel vedere di fila Unsane/Yawning Man/Gbh/Rome/Igorrr oppure Zu/King Dude/Entombed A. D. allo scorso Frantic e credimi, non è un modo per far venire più gente ai concerti, bensì un invito ad essere curiosi e a godersi musica diversa e di qualità. Non potrei delineare un fruitore medio, anche perché Tube Cult e Frantic sono due fest differenti, ma in entrambi i casi trovo gente curiosa, stufa della solita roba mainstream, che viene a ringraziarti se gli fai scoprire un gruppo che non aveva mai sentito. In questo noi organizzatori abbiamo una grossa responsabilità.
Ricordo bene che negli anni Novanta Pescara visse un periodo d’oro per quanto riguarda la musica e la cultura in generale, tra club, band, zine, eventi, tutto sembrava indicare la città come una nuova capitale della cultura sull’Adriatico. Poi, da esterno, ho avuto l’impressione di una inversione di tendenza, i locali hanno chiuso e tutto è tornato un po’ in sordina. Oggi, al contrario vedo dei segnali di cambiamento e mi sembra si stia smuovendo qualcosa per preparare un ritorno a quei tempi. Tu, da local, come la vedi e soprattutto come la vivi?
Io sono dell’86 e sono cresciuto in un paese nell’interno, quindi ho iniziato a frequentare attivamente Pescara per concerti solo nel nuovo millennio. Ero troppo piccolo e fuori dal mondo per poter vivere la scena musicale degli anni Novanta, ma in molti mi hanno raccontato del fermento che c’era in quegli anni. Quando mi sono approcciato alla musica, la situazione stava un po’ morendo, ma ho notato che con gli Zippo riuscivamo a radunare un buon numero di persone, e così in poco tempo sono passato da cercare spazi per i nostri concerti ad organizzarne. Prima ancora che nascesse il Tube Cult Fest, portai a Pescara Brant Bjork And The Bros e Witchcraft, e poi una volta entrato in questo meccanismo non ne sono più uscito. Negli ultimi 10-12 anni ho visto nascere e morire locali a cui mi ero particolarmente affezionato, c’è stato un periodo in cui c’erano almeno quattro locali dove fare concerti, ma piano piano hanno chiuso uno dopo l’altro lasciando un vuoto che solo lo Scumm sta riuscendo a colmare. Il cambiamento che tu vedi è fatto da persone, se vedi fermento è perché ci sono persone che si danno da fare per dare un’offerta culturale alternativa. Io ovviamente la vivo dall’interno per cui posso dirti che passa tanta bella roba ma siamo costretti a fare sempre meno perché la risposta non è sempre delle migliori, vuoi perché il bacino d’utenza è piccolo, o perché la gente ha pochi soldi o la mattina dopo spesso lavora, e poi c’è Netflix.
Grazie mille per il tuo tempo, concludi come meglio preferisci questa chiacchierata.
Grazie mille a te e a The New Noise, ti ringrazio per l’intervista e l’occhio di riguardo nei confronti dell’underground. A presto!