DAVID WALLRAF, Crudeltà Necessaria
Bisogna insegnare al popolo
ad avere orrore di sé stesso,
per fargli coraggio.
(Karl Marx)
Questa in esergo – estrapolata da “Per la critica della filosofia del diritto di Hegel”, opera giovanile di Marx – è la mia citazione preferita del filosofo di Treviri, quella che dovrebbe tatuarsi sull’avambraccio ogni intellettuale onesto. Pier Paolo Pasolini non si discosterà mai più di tanto da Marx, sia pure filtrandone gli esiti attraverso il pensiero gramsciano: PPP incarnerà più di tutti nell’Italia del dopoguerra la figura dell’intellettuale organico teorizzata da Gramsci.
Non ammiro particolarmente il Pasolini scrittore, non posso fare a meno di avvertire costantemente nelle sue parole la retorica strisciante del mito del buon selvaggio come pure un certo nostalgismo vieto nient’affatto progressivo; in barba a chi ne vorrebbe fare una sorta di Nostradamus novecentesco, anticipatore della postmodernità, penso invece che, ad esempio, i suoi scritti sulla società dei consumi siano invecchiati piuttosto male, diventati ormai praticamente inservibili nell’analisi dell’oggi. Diverso è l’atteggiamento che nutro nei confronti del Pasolini cineasta, quello che eleva il dilettantismo e la spontaneità a forma d’arte, quello che recupera il linguaggio pittorico rinascimentale nei suoi aspetti più dolorosi proiettandolo sul presente, il Cristo Morto di Mantegna che si trasfigura negli ultimi istanti di vita di Ettore in Mamma Roma.
David Wallraf vive e opera ad Amburgo, è una sorta di teorico del noise, molte autoproduzioni alle spalle: per la seconda volta su etichetta Karlrecords, pubblica questa riflessione in musica su Pasolini e una crudeltà che egli definisce necessaria. La crudeltà effettivamente attraversa tutto il cinema di Pasolini, da quella del tardo neorealismo pasoliniano che raffigura la borgata e le sue lotte per la sopravvivenza, a quella di cui sono intrise le rivisitazioni delle tragedie classiche greche, fino ad arrivare all’epilogo-Salò, in cui va in scena la brutalità di un potere perverso ed esclusivo. La crudeltà è però anche qualcosa di connaturato al pensiero e all’opera stessa di Pasolini, nonché al suo agire scandaloso (scandalo dal greco antico inciampo, insidia): mettere il prossimo davanti al proprio orrore (qui torniamo al Marx della critica della filosofia del diritto di Hegel) è atto crudele ma straordinariamente necessario al mestiere dell’intellettuale. Wallraf fa rivivere in questo nastro un po’ tutta l’opera del poeta di Casarsa, ma in maniera filologica e non cronologica: “Porcile”, nel film cannibalismo e zooerastia giustapposti come critica della società industriale, diventa il grido lancinante della macchina con un canto (popolare?) in lontananza e i maiali che grugniscono, quindi la tragedia greca nei due pezzi successivi, la locuzione “è inutile” diventa il trait d’union fra una Medea sintetica e rumorosa e un Edipo Re avvolto dal frinire, sempre di macchina: entrambi gelidi, entrambi lugubri. La borgata, che è stata al centro di buona parte della parabola artistico-intellettuale di Pasolini, è riprodotta in “La Nuova Periferia”, composta di miasmi bruitisti, vento, gomma, ferro. “Petrolio” è il titolo dell’ultimo romanzo, rimasto incompiuto, scritto da Pasolini fra il ’72 e il ’75, che egli aveva concepito come la summa delle sue esperienze, qualcosa a cui avrebbe voluto dedicare il resto dei suoi giorni (in effetti sarà così…): il brano omonimo di Wallraf ha un passo diverso rispetto agli altri qui contenuti, l’andamento ritmico e inesorabile sembra voler mimare l’incedere sistematico e feroce di quella società che Pasolini sottoponeva a critica impietosa, uno sciabordare freddo e avvilente in cui la crudeltà è rappresentata dalla mancanza di speranza. “Petrolio” sembra la raffigurazione sonora di un preciso momento storico, un attimo prima che la lotta armata di classe raggiungesse il culmine, il crepuscolo di una notte la cui alba avremmo passato in after, fra nani e ballerine.