DAVID MEIER & SIMON GRAB, Porœs
L’incontro fra David Meier e Simon Grab pareva parecchio intrigante già sulla carta e i due obliqui musicisti elvetici mantengono la promessa. Batteria e armamentari elettronici per un viaggio che pulsa di scarti elettronici e di gap in odore di free jazz e che placidamente assorbe umori e si trasforma in corso d’opera. La costruzione strumentale cavalca gli spazi, ritagliandosi momenti più o meno scoscesi o drammatici, dando sempre l’impressione di un incontro calibrato fra le due forze in gioco.
“Basalt” è puro groove che si deforma come un elastico e ben ci introduce al percorso di Porœs. Poi il basso si fa più oscuro e dub, quasi spremendo i suoni che fanno di “Felsic” una perfetta entrata per una dark room elastica. Poi poliritmie che riportano a una gommosa improvvisazione, dove alcuni suoni sotterranei gorgogliano e crepitano dando all’esoticità ritmica una parvenza aliena. Poi si parte per una tangente fantasiosa nella quale ci si potrebbe facilmente immaginare a picchiar tasti come un Giovanni telegrafista battente e feroce per poi andare a trasformarsi in un vero e proprio Art Ensemble Of Switzerland pieno di fascino. Su “Igneous” è difficile non pensare agli Zu e a Steve Albini mentre qui la materia sonora si fa ancora una volta mix fra ancestralità e fuga spaziale. I suoni perdono la loro origine per riconnettersi in nuovi legami che sembrano non sottostare alle leggi fisiche. Ci si muove con fare meccanico e bizzarro, stimolando muscoli desueti, che vanno diradandosi in una “Mafic” a bassa intensità che sembra aggirarsi quatta e ricca di spunti. “Glie” chiude come meglio non potrebbe, fra scintille che sembrano emesse da batterie di auto, i rintocchi leggeri di David Meier e la straniante sensazione di aver abbandonato il suolo terrestre per entrare in luoghi senza regole, limiti e concezioni stilistiche.
Porœs finisce in maniera sottilmente feroce, dandoci la carica necessaria per agire liberamente, con i rimasugli sonori a picchiarci ancora in testa.