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DAVE PHILLIPS, Ritual Protest Music


 

Dave Phillips (conosciuto anche perché ha suonato grindcore coi Fear Of God, dei quali quest’anno FOAD Records ha ristampato l’ep di 21 tracce del 1988) è svizzero ed è stato parte dello Schimpfluch-Gruppe, creato da Rudolf Eb.er con lui, Daniel Löwenbrück e Joke Lanz/Sudden Infant. Tutte queste persone, in un modo o nell’altro, sono catalogate alla voce “noise”, ma il loro approccio è parecchio libero e trasversale, “sperimentale” se vogliamo utilizzare il solito cliché.

Di Phillips ci siamo occupati – oltre che per le sue collaborazioni con il giro impro/noise napoletano – quando ha pubblicato Homo Animalis, nel quale parla del concetto di “humanimalism”, che torna in questo Ritual Protest Music. Senza farla troppo complicata o altisonante, Phillips, come tantissimi, non ama la gabbia in cui noi occidentali siamo costretti a stare: può essere quella del lavoro o di uno stato coi suoi confini come può essere quella del razionalismo a tutti i costi. Qualcuno può vedere l’aspetto rivoluzionario di un simile modo di pensare, come qualcuno magari intravede anche qualcosa di reazionario in tutto questo. Fatto sta che c’è un motivo se i suoi album privilegiano l’istinto e la fisicità. Nulla di cui stupirsi troppo per chi bazzica questi ambienti, anche se è divertente leggere un titolo come once humans turned their thinking over to machines in the hope that this would set them free but that only permitted other humans with machines to enslave them e pensare a Dave che dà gli scappellotti agli accelerazionisti. Alla fin fine, che si tratti di grindcore o di noise più o meno sperimentale, molti ascoltano questi generi per il loro effetto liberatorio, per correre incontro a una fiammata che scrosta via tutto il disagio quotidiano depositatosi su corpo e mente. Di purificazione il signor Phillips è cintura nera quarto dan: ha coltivato le sue personalissime tecniche negli anni, che sono un collage di organico e inorganico, realizzato con respiri, affanni, versi animaleschi, rumori di insetti (penso sempre a The Sounds Of Insects del suo connazionale Norbert Möslang o a SEC_ e al suo Mefite, che a questi due svizzeri deve qualcosa), roba che si fracassa su altra roba, frammenti di strumentazione “tradizionale”, in un alternarsi di fasi calme ma tese ed esplosioni rabbiose. Anche in Ritual Protest Music riscontro la capacità di creare un’atmosfera e uno scenario minacciosi intorno a chi ascolta, prima di assaltarlo nei modi più imprevedibili, una sintesi di organizzato e disorganizzato che rende più semplice affrontare il disco. Bravo come sempre, non serve quasi più scriverne se non per fare passaparola.