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DAUGHTERS, You Won’t Get What You Want

DAUGHTERS, You Won’t Get What You Want

I Daughters sono tornati. Dopo il temporaneo scioglimento e a distanza di otto anni, eccoli approdare su Ipecac Records con You Won’t Get What You Want. Il disco precedente, il self-titled, mostrava segni di stanchezza, il mathcore sembra aver detto ciò che aveva da dire (tanto che gruppi come i Dillinger Escape Plan hanno deciso di farla finita), ma la band di Providence ci regala un album di bruciante attualità, addentrandosi in nuovi territori musicali.

La cupezza della prima canzone, “City Song”, fornisce già molti indizi. Sembra Rocket USA dei Suicide rimasticata e sputata nel 2018. The city is an empty glass, graciousness is lost. Ritratto ansiogeno e infernale, i suoni violenti ma compassati saturano ogni spazio, prima di esplodere nel disordinato rumore finale. Per tutto il disco, poi, si alternano due registri: da un lato canzoni lente dalle sonorità industrial (tra cui è da segnalare la bellissima “Less Sex”, che deve tanto a Reznor); dall’altro bordate veloci e aggressive, con le chitarre che producono i ronzii tipici dei dischi precedenti (come nell’esaltata “The Flammable Man”).

Alexis Marshall sembra dar voce ora a un predicatore che declama la pervasiva presenza del male, ora al discorso introspettivo di un individuo che si dibatte tra follia, dipendenze e una routine insostenibile. La scrittura dei testi è in effetti stratificata e intrigante: ogni canzone è autosufficiente, ma si può anche rintracciare una sorta di filo conduttore. Il perno potrebbe essere “Ocean Song”, pezzo lungo e straziante in cui si racconta di un individuo che tornando a casa è vittima di sensazioni atroci. La sua vita e la sua famiglia gli risultano insopportabili ed è costretto a correre via, a lasciare tutto per cercare pace presso l’oceano, luogo (mentale?) di calma e serenità. Questo lavoro potrebbe allora forse dar voce alle pene di quest’uomo, la cui vita piena di dolore si svolge in un mondo, in una città che non hanno nulla di buono da offrire. La salvezza tuttavia è impossibile: nell’ultima canzone il luogo desiderato (la “Guest House” che ne diviene il titolo) è inaccessibile. Vi rimarranno in testa le grida disperate… I’ve been knocking and knocking and knocking and knocking, let me in!!! Non si può realmente fuggire da se stessi, e magari You won’t get what you want si riferisce anche a questo e non solo, come in molti hanno notato, allo stupore di ascoltare un album che ha sconvolto le aspettative.

“The Reason They Hate Me”, il secondo singolo uscito, spara a zero sui critici intransigenti, e con questo disco i Daughters hanno messo tutti a tacere, perché trasuda passione e cura, ma soprattutto qualcosa di urgente che preme per essere ascoltato, un grido che appartiene al nostro tempo.