DARK BUDDHA RISING, II

I Dark Buddha Rising tornano sulle scene tre anni dopo Inversum. Un ep forse non è il massimo per esprimere al meglio il caleidoscopio sonoro dei finnici: si tratta di due canzoni dalla durata complessiva di venticinque minuti che scorrono via veloci, tra retaggi di doom psichedelico vorticosi e lugubri. Sembra che questa volta il loro sound si sia snellito un poco, dato che certi sperimentalismi tribali dei primi album sono meno presenti: i due pezzi, nonostante la lunghezza, mantengono più o meno la forma canzone e in qualche modo si avvicinano a sonorità stoner rock. La prima parte di “Mahathgata I” inizia con un piglio – quasi alla Kyuss – desertico e “fuzzoso”, con una voce femminile salmodiante che ricorda le digressioni cosmiche acide dei White Hills; durante la seconda tutto rallenta e i mostri dell’Altrove risorgono sotto bordate di doom apocalittico e questa volta tribale come nella miglior tradizione Dark Buddha Rising: un incedere mefitico, quasi mantrico e religioso che non ha soluzione di continuità e vira verso oscure trame sludge. Il secondo episodio si veste di sonorità più rarefatte e atmosferiche ma non prive di un certo significato filosofico. Un significato che è portante nell’economia compositiva del gruppo: qui la struttura quasi scompare per fare spazio a suoni ectoplasmatici che potrebbero arrivare da un rituale sciamanico, imbastarditi sul finire da uno sludge doom paradossalmente etereo e di sostanza lisergica.

Episodio che prepara l’ascoltatore a cosa potrebbe accadere sul prossimo album della band. Nulla di trascendentale ma pur sempre un esperimento in cui qualità ed esperienza giocano un ruolo fondamentale.