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Dalle parti di Blackwater e dintorni…

bw

Una bella fortuna poter scrivere di Blackwater, etichetta che dal 2014 si divide tra Londra e Roma, disponendo di due produzioni che ne esemplificano bene l’orizzonte estetico e sonoro, e poco importa se ne aggiungiamo una terza che non appartiene al suo catalogo, visto che si lega particolarmente bene alle altre due. Comunque, i dischi pubblicati da Blackwater nel corso di questi primi due anni, per lo più in vinile e digitale, circondano la parola techno di numerosi aggettivi, tanti quanti sono gli aspetti caratterizzanti e le declinazioni che vi si scorgono: attitudine al suono analogico, profilo ambient-dub, drone fluida o gelida, scorie industriali e qualche svisata acida a favorire un mai assente fattore psicotropo. Il tratto davvero peculiare è però la prospettiva decadente, turbata ma non arrendevole.

Tra techno oscura e minacciosa, disagio psichico simulato e “socialismo sonoro”

Va sottolineato come Pier Filippo Di Sorte, che di Blackwater è il titolare, abbia fino ad oggi agito con oculatezza, circondandosi di un manipolo di musicisti che da sempre lo seguono, arricchendo di fatto il catalogo: l’idea è quella di fare squadra, di costruire una piattaforma aperta e inclusiva al fianco del mentore Luciano Lamanna e dei vari Stefano Rocchi, Subion, Fabrizio Lapiana, per non parlare poi di apparizioni sporadiche ma importanti, si veda alla voce Enrico Cosimi. Non la solita formula, siamo anzi ben distanti dalle abusate dichiarazioni d’intenti buone solo per i comunicati stampa. Basti pensare al progetto Devianza, spazio condiviso dove molteplici volontà interagiscono e si mescolano con approccio – suppongo – anche piuttosto “randomico” e disinteressato. Oltre ai due ep prodotti da questa mutevole entità, chiunque voglia farsi un’idea del sound di casa Blackwater può ascoltare le compilation Svprasensible Destination e Visions, volume 1 e 2, queste ultime dedicate alla memoria del compianto dj e produttore Massimiliano Magrini, noto ai più come Max M. Di recente il catalogo Blackwater ha acquisito ulteriore sostanza, con il duo Ossa Di Mare alle prese con un ep “costruito attorno all’idea dell’esperienza allucinogena indotta dalla Dimetiltriptammina”, Antonello Teora e i due ruvidi banger (più Devianza rework) di The Art Of Hate, o ancora la collana digitale che prosegue spedita grazie ai vari Istigkeit, Emanuele Onorato, Michal Jablonski.

Veniamo ora ai due brevi lavori a mia disposizione, ovvero un 12” single-sided intitolato Elementi, a cura del torinese Andrea Atzeni qui nelle vesti di Astronomy Domine, e i tre episodi belligeranti del misterioso Shkedul, annotati semplicemente come ID3.2 (non a caso trattasi di edizione digitale). Se il primo spezza i ritmi ed ondeggia tra paradisiache aperture verso il cosmo (“Fuoco Acqua”) – dando senso effettivo al sapore floydiano del suo nuovo pseudonimo – e ritualismo puro (“Spazio Terra”), il secondo procede a briglie sciolte sui binari di una techno più convenzionale. Gran dispiego percussivo, dunque, ma a farla da padrone sono le qualità ipnotiche, sottili e intimidatorie al tempo stesso.

Al di fuori di Blackwater, ma in qualche modo ad essa limitrofo, c’è l’ultimo lavoro del salernitano Massimo Iannece. Classe 1994, qualche produzione alle spalle e un remix a opera di Vatican Shadow, con Religion Without God presenta il suo nuovo progetto, RWGRWG, oltre alla sua nuova etichetta, Photon. Va anzitutto riconosciuta una certa dote narrativa, pur restando in un contesto “dance” e sempre ammesso si voglia fare caso alla confezione cucita attorno ai cinque brani qui presenti. Inoltre si aggiunga la presenza di Echologist (lo statunitense Brendon Moeller, non dovrei aggiungere altro…) che per due volte mette mano all’incipit di “Chapter”. “Under The Church’s Psicology”, poi, ha un nome che è tutto un programma: i bpm alzano il passo, la cassa procede marziale e insidiosi bleep volteggiano per aria; domina il tutto una sensazione ambigua, come di struttura pericolante. Ma l’asso nella manica è la conclusiva “Dark War Of Tunisi”, delirio dissonante e spregiudicato: altro che struttura in pericolo, qui siamo nei pressi di una Moschea ormai diroccata. L’immaginario è dunque rivolto al Medio Oriente (in questo senso la dice lunga lo schizzato motivo etno-folk che aggredisce l’ultima traccia), riferimento non estraneo a certi lidi musicali che attualmente si destreggiano bene tra paranoia contemporanea, interesse antropologico e residui di memoria storica.