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CULTED, Oblique To All Paths

CULTED

Ultimamente sembra che la Relapse Records, dopo aver messo sotto contratto Coffins e Cough, voglia dedicare più spazio a quelle sonorità lente e decadenti, che spesso vengono classificate come “blackened/doom/death etc” o con uno di questi termini presi a caso, a seconda dell’umore del recensore di turno: i Culted sono uno dei gruppi a cui capita questa sorte. Sono una band canadese (con cantante svedese), di Winnipeg, città che di recente ha fatto molto parlare di sé per aver tirato fuori alcuni dei migliori gruppi grind in circolazione (Archagathus, Violent Gorge e Parfumerie, tutti e tre con gli stessi membri). A differenza di queste formazioni, la loro proposta musicale è quella che più ricorda il clima freddo e secco di un paese come il Canada, dove la temperatura d’inverno scende tranquillamente a -20. Il loro sound è una miscela che comprende il primo black metal norvegese, gli Swans di Children Of God, il death/doom molto personale dei Triptykon e l’atmospheric black metal dei Wolves In The Throne Room. Il loro primo disco, Below The Thunders Of The Upper Deep, presentava uno stile più classico, con uno screaming molto più marcato e delle strutture più vicine al doom. Su questo Oblique To All Paths, invece, le atmosfere si fanno sempre più glaciali, dilatate e annichilenti, meno legate al metal e sempre più vicine all’ambient (mantenendo però una matrice black originaria molto percepibile). Si passa da episodi lunghi e solenni come “Brooding Hex” (l’opener, di ben venti minuti) alle strutture più lineari di “March Of The Wolves”, fino ai rimandi funeral doom di “Transmittal”. Le chitarre sono polari, sia quando sono distorte, sia quando non lo sono (e così riescono ad essere anche più disturbanti): in entrambi i casi i riff sono antimelodici fino all’impossibile. Il cantato si divide tra uno screaming filtrato, tipico di molte registrazioni black degli anni d’oro non di altissima qualità, e un pulito molto dimesso, che non lascia trasparire alcuna emozione. La batteria viene invece lasciata sullo sfondo, incide molto poco e spesso è anche del tutto assente. La produzione è di certo al passo coi tempi, ma si vede che il gruppo ha voluto mantenere uno stile più “raw”, per far sì che le dissonanze creino quel senso di alienazione che oggi è sempre più raro trovare in molti album del genere.

In poche parole, Oblique To All Paths è un disco ghiacciato, straziante, più vicino a un sound scandinavo che nordamericano, anche se qui la componente “atmospheric” è quella che fa da padrona. I Culted, con questo secondo lavoro, sono riusciti a produrre qualcosa forse non originalissimo, ma sicuramente interessante, che mischia tante influenze in un sound finale molto riuscito. Se adesso siete alla ricerca di un nuovo album dal feeling “invernale”, avete di fronte quello che vi serve per passare un’oretta al gelo e in solitudine.