CULT OF LUNA, The Long Road North
Dai Cult Of Luna mi aspetto sempre grandi cose. Il nostro cammino è iniziato nel 2008, quando, durante una delle mie ricerche matte e disperatissime di nuova musica, mi ero imbattuto in Somewhere Along The Highway, uscito due anni prima. Tanto il nome della band quanto il titolo dell’album mi avevano sedotto: esprimevano mistero, tensione verso l’infinito, ma anche la malinconia che domina le trame di uno dei dischi più rappresentativi del post-metal. La mia conversione al Cult Of Luna era stata immediata e totale.
Da allora Johannes Persson e compagni hanno percorso parecchia strada: The Long Road North è la nona tappa di una carriera fatta di poche (mezze) delusioni e moltissimi acuti. Eppure ho affrontato il primo ascolto con aspettative molto basse. Il motivo? Le loro ultime uscite, il pur acclamato A Dawn to Fear e l’ep The Raging River, non mi hanno convinto molto. Si tratta senza dubbio di lavori godibili, splendidamente prodotti e capaci di regalare episodi entusiasmanti (“The Silent Man” è una bomba), ma nel complesso piuttosto artefatti, prevedibili, e poco aggiungono alla discografia del gruppo. Non ci ho sentito quel misticismo marchio di fabbrica dei miei Cult Of Luna.
The Long Road North non è certo un plot-twist come Vertikal o Mariner, e azzardare paragoni con Somewhere Along The Highway sarebbe fuori luogo. L’eco di questi lavori si sente eccome, ma lo sforzo della band nel rimescolare le carte e affacciarsi su territori ancora inesplorati dona al risultato finale un’identità propria. Brano dopo brano, ascolto dopo ascolto, il timore di trovarmi di fronte all’ennesimo album “da manuale” si è dissolto, lasciando spazio al consueto trasporto emotivo.
Come già accaduto in A Dawn To Fear, l’onore e l’onere di inaugurare l’opera spettano al pezzo di maggior impatto, vale a dire quella “Cold Burn” presentata in anteprima a dicembre, il cui incedere marziale ci riporta alla memoria le atmosfere claustrofobiche di Vertikal. Un omaggio da brividi, che tuttavia serve solo a rompere il ghiaccio: queste nove tracce colpiscono soprattutto per l’eterogeneità di soluzioni sapientemente messe in campo senza nulla perdere in termini di coerenza generale dell’opera.
Se gli impetuosi riff di “The Silver Arc” strizzano l’occhio a Mariner, la successiva evoluzione melodica ci accompagna al cuore del disco, dove prevalgono composizioni dilatate e dalle sfumature più intime. Qui trovano spazio due riuscitissime partecipazioni: la cantante svedese Mariam Wallentin presta la voce nella messianica “Beyond I”, mentre il contributo ai fiati dell’ospite prestigioso Colin Stetson esalta i monumentali arrangiamenti di “An Offering To The Wild”. Seguono “Into The Night”, caratterizzata dall’ottima performance con cantato pulito di Persson, e il riflessivo interludio di “Full Moon”, due brani costantemente a cavallo tra suggestioni oniriche e una tensione trattenuta a stento. Sonorità pesanti e dinamiche sostenute riconquistano la scena nella title-track, per poi giungere alla deflagrazione finale di “Blood Upon Stone”, pezzo che vede il contributo dei francesi Phoenix. Il viaggio giunge al termine tra le atmosfere spettrali di “Beyond II”, sperimentazione ambient frutto della collaborazione con Stetson.
The Long Road North è un lavoro molto più coraggioso dei suoi immediati predecessori: pur concedendo spazi all’autocitazione si rivela una creatura ibrida, in cui troviamo fusi tradizione ed elementi di discontinuità che potrebbero aprire scenari interessanti per il futuro. Cosa più importante, da questi settanta minuti di musica riemergono i Cult Of Luna che amavo, capaci di sviluppare una narrazione affascinante e magnetica. Il nostro viaggio insieme continua.